REPORT 2023
Executive Summary
Antonio Rossano
Presidente non profit “Media Studies”
Coordinatore progetto “Osservatorio sul giornalismo digitale”
Obiettivi
Non è questa l’ennesima raccolta di dati sul giornalismo, non è un sondaggio sul gradimento di un prodotto dell’industria dell’informazione, non è una ricerca accademica.
Di tutti questi elementi, per fortuna, ne abbiamo grande abbondanza: sono disponibili, con frequenza di aggiornamento anche annuale, studi di livello internazionale che raccolgono dati ed interviste relative al mondo del giornalismo[1] ed alle sue tendenze, dispositivi di maggior utilizzo per la lettura delle notizie, consumo delle news per fasce di età, ed altre importanti informazioni.
Sono altresì disponibili fonti istituzionalmente riconosciute che mensilmente forniscono dati sul consumo di notizie in Italia, sulla pubblicità nei giornali cartacei ed online, sul numero di copie o di abbonamenti mensili venduti.
Fonti e studi con autori competenti, giornalisti scientifici e ricercatori universitari, una metodologia scientifica dettagliata ed una costruzione narrativa tecnica e ben strutturata.
Il nostro obiettivo è quello di rappresentare, “carte alla mano”, ovverossia proprio raccogliendo la grande quantità di autorevoli informazioni già disponibili e costantemente aggiornate, lo stato dell’arte dell’informazione nel nostro paese (e non solo) ed abbiamo, per questo, creato una infrastruttura di competenze trasversali al mondo dell’informazione, competenze giornalistiche in primis, accademiche e del marketing digitale. Infrastruttura che oggi chiamiamo “Osservatorio sul giornalismo digitale” ma che forse dovremmo in futuro chiamare “Osservatorio sul giornalismo”, dato che, proprio questi studi autorevoli e ricerche competenti, dimostrano che ormai il giornalismo è digitale.
Lo faceva notare[2] Mario Tedeschini Lalli nel recente convegno organizzato dall’Ordine dei Giornalisti a Roma “Digito ergo sum. L’informazione al tempo del digitale”, quando affermava: «Repubblica è stata la prima testata a dotarsi di una redazione web — e andò in linea 26 anni fa, il 14 gennaio 1997. Cinque giorni dopo, il 19 gennaio, qui a Roma nacque una bambina, quasi gemella di Repubblica.it. Bene… quella bambina ora è una collega professionista e lavora per quella stessa redazione! Capite quanto sono vecchio e quanto è vecchio il giornalismo digitale? Per questo mi vengono le bolle quando sento editori e — purtroppo — anche colleghi e colleghe che parlano ancora di “transizione al digitale”. Care amiche e amici: per il giornalismo italiano non è più tempo di transitare, il digitale già permea la nostra vita e il nostro lavoro.»
Rappresentare evidentemente con contezza e competenza e con testimonianze esperte, i vari aspetti dell’ecosistema informativo, le contaminazioni delle intelligenze artificiali nelle redazioni ed il senso di queste contaminazioni; l’aspetto, forse il più rilevante per la professione, del pluralismo informativo e di nuove proposte per la sua comprensione e misurazione, quelli giuridici, quelli economici e di indirizzo.
Non troveremo quindi, in questo documento, delle risposte specifiche su come risolvere alcune questioni fondamentali, messo che tali risposte esistano. Ci siamo concentrati sulla possibilità di rendere comprensibile la complessità che determina tali questioni, l’insieme di elementi che le caratterizzano, le molte spinte tecnologiche, economiche, informative, sociali, giuridiche che contraddistinguono i cambiamenti determinando le problematiche che ci troviamo ad affrontare.
Sono stati in particolare messi a fuoco tre aspetti centrali che sono emersi dalle analisi ed i contributi pervenuti:
- Il ruolo sempre più rilevante dei dati e degli algoritmi fino all’uso degli strumenti dell’Intelligenza Artificiale nelle redazioni
- Il pluralismo informativo e la fiducia dei lettori in un ecosistema informativo sempre più complesso
- Il valore economico dell’industria dell’informazione e le prospettive per la professione
Conclusioni
Il valore economico dell’industria dell’informazione e le prospettive per la professione
A partire dalla prefazione del presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, appare oramai imprescindibile, in una situazione caotica dove il numero degli enti emittenti e dei messaggi in circolazione è divenuto enorme, che i giornalisti diventino punto di riferimento per una narrazione seria e trasparente, valorizzando e confermando i buoni principi della deontologia professionale : “verifica rigorosa delle fonti, continenza nel linguaggio, accuratezza della narrazione, rispetto della persona”.
Ai timori dei giornalisti di fronte al cambiamento ed alla innovazione, oramai continua, dei media, proprio il giornalismo professionale può dare una risposta, fare la differenza, riportare la fiducia, e quindi ricostruire il rapporto con il lettore, in un mondo dell’informazione sempre più polarizzato e chiuso nelle dinamiche dell’informazione relazionale.
Come fa notare Elena Golino, presidente della Commissione cultura dell’Ordine, “[…] negli ultimi anni, abbiamo dovuto fare i conti con una dura realtà: il lato oscuro della forza dell’online è la diffusione delle fake news, i linciaggi digitali, le campagne d’odio”, rivendicando quindi il ruolo di una informazione professionale competente ed etica. D’altra parte, di fronte al cambiamento dell’informazione e del giornalismo, la Golino rileva come sia ormai necessario che l’Ordine si apra a nuove proposte di accoglimento rivolte a tutti i soggetti che fanno informazione online.
Quindi, se da un lato i principi etici e deontologici del giornalismo possono e debbono ancora costituire il riferimento principale per il mondo dell’informazione, è necessario accettare il cambiamento e le nuove realtà professionali che di esso sono parte integrante.
Dall’analisi sui dati dell’industria dell’informazione, così come elaborati da Lelio Simi, giornalista professionista con grande esperienza su queste tematiche, emerge la necessità di spostare la valutazione degli assett industriali editoriali da logiche di tipo quantitativo a sistemi e metriche che siano in grado di rappresentare i contesti e le dinamiche che attengono quei dati e quindi su un piano qualitativo. Operazione non semplice, come ricorda Simi, ma che è indispensabile se vogliamo davvero comprendere, oltre le vecchie logiche del giornalismo cartaceo, ciò che sta accadendo in questa situazione di “complessità”. Scrive Simi: “[…] È cambiato soprattutto il prodotto al centro di questa industria, il giornale, che da almeno un paio di decenni, oltre alla sua versione di carta — il formato “monoblocco” che conosciamo da oltre un secolo — è diventato molte più “cose”. In questo contesto bisogna prendere atto che tutto è tremendamente più complicato […]
Per Richard Gingras, vicepresidente globale di Google News: “La più grande sfida che il giornalismo deve affrontare è la sua rilevanza. Il giornalismo di qualità non esisterà, tanto meno prospererà, se una società non riconosce l’importanza del giornalismo e non lo sostiene con la propria attenzione e il proprio supporto finanziario. Praticamente tutti i sondaggi evidenziano quanto la percezione della fiducia e del valore del giornalismo siano in costante calo […]”
C’è quindi una questione sociale, di fiducia e di qualità secondo Gingras che sottolinea inoltre quanto sia importante il rapporto tra il giornalismo, i giornalisti e le comunità che essi informano. E, a proposito della crisi dei modelli economici del giornalismo e delle difficoltà dovute all’abbondanza di informazione, Gingras afferma: «[…] Ma, per molti imprenditori, non è finito il business del giornalismo. Non hanno avviato le loro imprese pensando di non trovare la strada del successo. Hanno avviato quelle imprese perché sapevano che c’erano vuoti da riempire, opportunità da cogliere. Molti ci stanno riuscendo. Un sacco di duro lavoro. Lunghe notti di dubbi stressanti. Ma ci credono. Ogni giorno ne abbiamo la prova.
In Francia, Le Figaro registra 250.000 abbonati solo digitali, con un aumento del 20% dal 2020. In Germania lo scorso anno, Die Zeit ha registrato un aumento del 43% degli abbonamenti digitali rispetto all’anno precedente. Axel Springer ha ridisegnato il suo business dei media, vendendo i suoi giornali regionali, acquistando Politico e ora possiede Touchstone, il più grande sito per trovare lavoro in Europa. Il Times of London ha registrato il suo anno migliore dal 1990. Il direttore John Witherow ha annunciato “un’età d’oro per il giornalismo”. Il New York Times ha ora oltre 9 milioni di abbonati. […]»
In ultimo ci occorre riportare quest’ultima affermazione di Gingras, che riteniamo possa rappresentare uno degli aspetti centrali del nostro lavoro: «nessun modello di business per il giornalismo avrà successo se la società non rispetta e valorizza il giornalismo di qualità che ci aspettiamo nasca da una stampa libera.»
Dati, algoritmi e Intelligenza Artificiale nelle redazioni
Sull’Intelligenza Artificiale, sempre Gingras formula delle domande cui, solo nel prossimo futuro, attraverso l’implementazione di queste tecnologie, potremo rispondere, ma che dobbiamo, già ora, iniziare a porci:
- “Che effetto avrà sulla nostra concezione di autorialità?
- Come possiamo essere certi della provenienza, della fondatezza dei fatti, dell’autenticità?
- In che modo i giornalisti dovrebbero divulgare in modo appropriato l’uso di questi strumenti nel loro lavoro?
- Come possiamo sfruttare i benefici e gestire i danni dei motori di conoscenza AI? “
Questioni etiche che pongono nel loro contributo anche Luciano Floridi e Guido Romeo, evidenziando come queste problematiche, qualora non affrontate ed inquadrate in ambito deontologico possano creare seri problemi alla centralità del giornalismo nella democrazia e nel dibattito pubblico informato.
Altro aspetto interessante è evidenziato da Colin Porlezza, Direttore dell’European Journalism Observatory, nella sua analisi sulla “datificazione del giornalismo” che, se da una parte rileva come «[…]i big data, insieme agli algoritmi e ai metodi computazionali e i relativi processi e prospettive legati alla quantificazione, rappresentano il paradigma del lavoro di produzione dell’informazione […]», dall’altra mette in guardia sulla evidenza che si sia creato un vero e proprio “capitalismo dei dati” dove, ovviamente la parte del leone viene recitata dalle grandi piattaforme verso le quali «[…] i media si trovano sempre più in una posizione di passività visto che dipendono da un piccolo numero di piattaforme potenti e centralizzate se vogliono assicurarsi che i loro contenuti vengono percepiti […]». E non solo, per Porlezza il rischio è che un giornalismo intensamente strutturato sui dati porti a disfunzionalità come potrebbe essere, ad esempio, una produzione editoriale mirata ai gusti degli utenti.
Ma l’intelligenza artificiale è già, da tempo, nelle redazioni, come racconta Alessia Pizzi, giornalista, esperta di marketing digitale e SEO, intervistando Charlie Beckett, direttore e fondatore di Polis, think thank giornalistico del Dipartimento Media e Comunicazione presso la London School of Economics and Political Science (LSE) nonché direttore del progetto JournalismAI e Andrea Iannuzzi, Senior Managing Editor presso La Repubblica e raccogliendo numerose evidenze sugli strumenti utilizzati e le finalità perseguite dai giornalisti. Non è ancora, se non a livello sperimentale, il tempo dei contenuti creativi scritti da un sistema di IA, ma è già da tempo quello degli articoli basati sui dati e dei resoconti sportivi o economici che vengono automaticamente prodotti da software specializzati. Ma, ammonisce la Pizzi, ci manca molto poco. E, soprattutto evidenzia quanto la questione etica sia fondamentale per poter correttamente utilizzare tali sistemi.
Il pluralismo informativo e la fiducia dei lettori in un ecosistema informativo sempre più complesso
Davide Bennato, sociologo, docente all’Università di Catania e consulente scientifico di questo progetto, analizza e raccoglie i vari studi ed analisi sulla situazione della fiducia e del pluralismo dell’informazione nel nostro paese evidenziando come il problema che va delineandosi non è tanto legato al pluralismo dell’informazione, ma a cosa serva un’informazione ricca e variegata quando viene percepita come essenzialmente priva di fiducia e non affidabile e come siano le strategie con cui il giornalismo si presenta negli spazi digitali a rappresentare la vera sfida per l’informazione.
Ma il pluralismo informativo è davvero un sistema i cui confini possono essere banalmente definiti da elementi quantitativi relativi al controllo delle infrastrutture dei media? È una domanda che si pone Elisa Giomi, sociologa, docente universitaria e commissaria dell’Autorità Garante per le Comunicazioni, in una analisi che approfonditamente, partendo dalle teorie sociologiche, in un percorso volto a definire l’essenzialità logica ed ontologica del pluralismo, giunge ad evidenziare i limiti degli attuali sistemi regolatori, sottolineando la necessità di sganciarli da una concezione di “mercato”.
Vi è poi un aspetto giuridico rilevante, quello legato alla “concorrenza” tra diritti dei cittadini, diritto all’informazione e diritto all’oblio , per esempio: è anche nella ricerca di un corretto equilibrio tra questi diritti che può sostanziarsi un ecosistema informativo realmente plurale ed è anche necessario osservare quanto le norme che delimitano tali diritti possano costituire esse stesse un problema, come emerge dall’analisi di Guido Scorza, avvocato e membro del collegio del Garante per la Protezione dei dati personali.
In coda alla prima parte ho relazionato su alcune problematiche dell’informazione di tipo deontologico che trasversalmente attengono a questi già citati aspetti cercando di evidenziare la dimensione di complessità del giornalismo nell’attuale ecosistema informativo.
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Antonio Rossano, giornalista, è presidente di Media Studies, ente non profit che si occupa dell’analisi e divulgazione delle tematiche inerenti i media.
Ha scritto e scrive per varie testate, enti e siti, tra cui L’Espresso, Repubblica, Regione Ticino, LSDI, Wired.
Nel 2010 ha fondato Youcapital, prima piattaforma italiana di crowdfunding per progetti di giornalismo e comunicazione e nel 2011 si è trasferito a Lugano collaborando alla riprogettazione dell’ Hub informativo dell’ European Journalism Observatory, restandovi fino al 2014.
Ha insegnato di tematiche relative al giornalismo in vari Master e collabora, in qualità di docente, con l’Ordine dei Giornalisti per la formazione degli iscritti.
Consulente per il digitale dell’Ordine dei Giornalisti di cui coordina il progetto «Osservatorio sul giornalismo digitale» è membro del comitato scientifico della Fondazione Murialdi sul giornalismo italiano.
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