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“Ho visto cose che voi umani…”.Non sono ancora lacrime nella pioggia
Antonio Rossano
Giornalista – Coordinatore Osservatorio sul giornalismo digitale
*frase derivata dal monologo pronunciato in punto di morte dal replicante Roy Batty nel film di fantascienza Blade Runner
Gli studiosi ritengono che l’Intelligenza artificiale rappresenti uno dei cambi di paradigma più importanti della storia, paragonabile all’invenzione della scrittura o della stampa a caratteri mobili
Ed in effetti sta cambiando il mondo.
Proprio come con la stampa a caratteri mobili: pensare di farne a meno, allora come oggi, è impossibile.
Questi tipi di cambiamenti generano nuove dimensioni ma, al contempo, producono macerie.
Pensate a quel bravo monaco benedettino (o cistercense o domenicano) che aveva lavorato tutta la vita a trascrivere e copiare a mano testi, libri e documenti: cosa avrà pensato quando gli si è palesata davanti una copia della Bibbia stampata in poche decine di minuti, laddove, con il suo lavoro, di certo imparagonabilmente pregevole ed artistico, l’avrebbe riprodotta in molti mesi?
Così i giornalisti, oggi, si sentono “mancare la terra sotto i piedi” e sono spiazzati di fronte al prepotente avvento dell’intelligenza artificiale.
Ma è davvero questo il problema del giornalismo?
Perché, se volessimo paragonare i giornalisti ai monaci benedettini, dovremmo pensare al giornalismo non come alla scrittura, bensì al processo di ideazione e creazione del testo.
Con la stampa a caratteri mobili non è scomparsa la creazione dei contenuti, è scomparsa la dimensione rappresentativa della scrittura a mano.
E, ancora prima, dobbiamo immaginare la scrittura come una applicazione del linguaggio: non può esservi scrittura senza linguaggio. Ed il linguaggio è l’interfaccia che forma e connette il pensiero (fisicamente la mente) al mondo esterno: si può immaginare un panorama meraviglioso, con il sole e le montagne, ma si può non “comunicarlo” all’esterno con il linguaggio o con le sue diverse forme applicative: scrittura, disegno, musica. Questo non rende l’immaginazione meno pregnante e significativa.
Sicuramente incomunicata (e qui inizierebbe un’ampia parentesi filosofica, che vi risparmio, se ciò che non viene comunicato esiste davvero…).
Ma torniamo al giornalismo. Cosa è il giornalismo? Se una sua dimensione applicativa così rilevante come la generazione e la scrittura di un contenuto sta per diventare la prerogativa delle “macchine”, cosa ne sarà di questa professione?
Ma il giornalismo è davvero scrittura e generazione di contenuti?
O il giornalismo è a monte, la conoscenza di una notizia, la verifica, l’acquisizione di dati ed informazioni, l’ideazione di uno scenario, la comprensione di un contesto, la comparazione e sintesi di molteplici fattori? (non solo questo ovviamente ma procediamo per gradi)
Prodotti artificiali e non
Nell’agenzia in cui lavoro, realizziamo immagini meravigliose con alcune applicazioni di intelligenza artificiale.
La macchina ovviamente non sa “a priori” che immagini vogliamo realizzare. Per questo dovremo comunicare all’applicazione l’immagine che abbiamo in mente, attraverso un “prompt”, ovvero una serie di istruzioni che descrivono la nostra immaginazione: la prima immagine realizzata dall’app di IA difficilmente corrisponderà alla nostra idea, pertanto procederemo per step successivi, fino ad arrivare ad una rappresentazione plausibile di ciò che volevamo. Di ciò che noi abbiamo immaginato.
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“The Electrician” – Boris Eldagsen – 2023
D’altra parte, se anche collaborassimo con un esperto grafico, dovremmo descrivergli minuziosamente cosa vogliamo che realizzi ed egli certamente potrà, oggi con l’uso di programmi appositi, interpretare la nostra immaginazione mediata dal linguaggio e dalla sua capacità di comprensione e competenza tecnica. Seguiranno correzioni e modifiche da noi suggerite, per giungere ad un prodotto che si avvicini il più possibile a ciò che abbiamo in mente. A ciò che abbiamo immaginato.
Nel 2023, Il fotografo tedesco Boris Eldagsen ha portato la sua opera “The Electrician” ai Sony World Photography Awards, vincendo[1] il 1° Premio nella Categoria Creativa. Ma lo ha rifiutato perché la sua immagine non era una foto reale, ma realizzata con l’app di intelligenza artificiale DALL-E 2, affermando che “Le immagini AI e la fotografia non dovrebbero competere tra loro in un premio come questo. Sono entità diverse. L’intelligenza artificiale non è fotografia. Pertanto, non accetterò il premio”.
Se il fotografo può rappresentare con le scene e le pose, immagini che sono nella sua ideazione o cogliere aspetti della realtà che egli solo “vede”, nondimeno per Eldagsen l’IA è meno creativa della fotografia, è una applicazione tecnica diversa dell’immaginazione.
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“Flamingone”- Miles Astray – 2024
Nel 2024, la fotografia intitolata “Flamingone”, che raffigura un fenicottero con la testa e il collo nascosti sotto il busto, è stata presentata dal fotografo e scrittore Miles Astray ai 1839 Awards, una serie di concorsi che premiano i fotografi più bravi nell’utilizzare la fotografia come forma d’arte, per la nuova categoria “immagini create dall’intelligenza artificiale”.
Astray, selezionato dalla giuria tra i vincitori nella categoria IA, ha anche vinto il People’s Vote Award.
In realtà, l’immagine di quel fenicottero realizzata da Astray non era stata creata dall’IA, ma era autentica e, nel momento in cui è stato scoperto, l’artista è stato squalificato.
Quindi per entrambi i casi, Eldagsen e Astray, il “prodotto” nasceva dall’imaginazione e dalla visione dell’artista, che era il vero elemento generativo, l’applicazione utilizzata per rappresentarla (macchina fotografica o IA) non era determinante per la sua qualità e specificità.
Ma, torniamo al giornalismo.
Ciò che abbiamo scritto per la generazione delle immagini può valere per i contenuti testuali.
Potrò chiedere a ChatGPT di scrivere una sintesi ed estrarre i dati da alcuni link che gli fornisco, che riguardano un recente fatto di cronaca.
Per fare questo evidentemente, come giornalista, dovrò conoscere quel fatto, una sua versione verosimile o quella che (io) ritengo si avvicini di più ad una verità oggettiva o presumibilmente tale, e aver letto almeno qualcuno degli articoli che passo alla macchina. Aver fatto le opportune verifiche ed analisi delle fonti.
Dovrò quindi indicare al bot, attraverso un prompt testuale (o vocale) con quale tipo di narrazione voglio rappresentare quel fatto, quale presumo sia la verità e la giusta angolazione per raccontarla. Dopo di ciò dovrò leggere questa sintesi artificiale, adattarla a quello che può essere il mio stile narrativo, verificare che i fatti rappresentati corrispondano alle fonti fornite. Aggiungere considerazioni, elementi contestuali, correlazioni e collegamenti.
Questo può dirsi una creazione di contenuto dove l’intelligenza artificiale generativa è uno strumento, una dimensione applicativa.
Questo è giornalismo.
Diverso ovviamente se il mio sistema di IA è progettato per individuare temi, sintetizzarli e pubblicarli massivamente dove voglio (un sito, un social, un podcast). In questo caso sto semplicemente aggregando informazioni pescate probabilmente in rete e “rigenerandole” artificialmente per dargli una forma diversa.
Questo, non è giornalismo.
D’altra parte, è ormai evidente che le “notizie”, nella società digitale, sono commodities, ovvero prodotti di cui vi è abbondanza di offerta rispetto alla richiesta, senza alcun valore economico intrinseco ed esse già da tempo sono replicate automaticamente da aggregatori o sistemi algoritmici o, banalmente, con il cosiddetto “copia e incolla”. Se a farlo meglio sarà un sistema artificiale, questo non cambierà il risultato, che non sarà mai un “lavoro giornalistico”.
Come pure, oggi è impensabile immaginare di non utilizzare questi potenti strumenti di lavoro. Impossibile direi. A meno di non voler essere monaci benedettini “antagonisti”.
Intelligenza artificiale per il Giornalismo
Per la prima volta, a maggio ‘24, due dei vincitori nei quindici settori dei Premi Pulitzer, hanno utilizzato l’IA[2] per produrre i loro servizi giornalistici. Il focus principale si è concentrato sul giornalismo investigativo, dove l’IA è stata utilizzata per esaminare grandi quantità di dati. Ad esempio, la serie “Missing in Chicago“[3] del City Bureau e dell’Invisible Institute ha utilizzato uno strumento di machine learning chiamato Judy per analizzare migliaia di dossier sulle negligenze della polizia, rivelando fallimenti sistematici nelle indagini su donne nere scomparse e assassinate.
L’altro caso evidenziato è stato quello del team di indagini visive del New York Times, che ha addestrato un modello per identificare i crateri lasciati da bombe da 2.000 libbre in zone di Gaza dichiarate sicure per i civili. Questo lavoro fa parte del pacchetto che ha vinto il premio per il reporting internazionale.
Questo è giornalismo.
«Riesci a immaginare un mondo in cui ogni articolo che produciamo è tradotto in tutte le lingue della Terra? Possiamo ed è emozionante. Riesci a immaginare un mondo in cui ogni articolo che scriviamo viene automaticamente trasformato in audio e ogni podcast che creiamo viene automaticamente trasformato in testo? Possiamo ed è emozionante. Renderà il nostro giornalismo più accessibile a più persone che mai.» Sono questi alcuni dei concetti espressi da A.G. Sulzberger, editore del The New York Times, in un’intervista[4] esclusiva rilasciata al Reuters Institute for the Study of Journalism a febbraio 2024.
Quindi intelligenza artificiale come possibilità di sviluppo per l’attività giornalistica, sempre gestita e regolata dall’essere umano, con l’attenzione a preservare le preziose risorse umane ed intellettuali che compongono le redazioni dei giornali, come continua Sulzberger: «Il nostro settore farebbe bene a ricordare che, in un’era in cui l’intelligenza artificiale peggiora la crisi di fiducia negli ambienti digitali, il nostro vantaggio è che siamo imprese guidate da esperti umani, dove i giornalisti sono supportati dai migliori redattori e gli editori sono supportato dagli standard più elevati.»
Concetti e parole che prefigurano una nuova strada per l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle redazioni, superando le paure emozionali e i determinismi tecnologici.
Un’analisi “a scadenza”
È evidente che questo ragionamento sulla prevalenza della coscienza umana ha una data di scadenza impressa a fuoco dalla natura tecnologica dell’oggetto esaminato, l’Intelligenza Artificiale. Il cambio di paradigma che stiamo vivendo è che tutto cambia continuamente, senza soluzione di continuità. Lo scriveva, per altri aspetti, nella sua relazione[5] sul Report 2024 di questo Osservatorio, Mario Tedeschini Lalli.
Fra 5 anni probabilmente (ma forse anche meno) i computer quantistici avranno raggiunto la stabilità sufficiente per essere industrialmente operativi ed è molto difficile immaginare cosa accadrà visto che oggi la nostra scienza informatica è basata sul dualismo di valore, zero e uno, che può assumere la più piccola unità di informazione, il bit, mentre un singolo Qubit quantistico può assumere un numero infinito di combinazioni lineari.
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La foto fake pubblicata sui media
Come giornalisti, possiamo metterci in “osservazione” in questo eracliteo continuo divenire, utilizzando le nostre energie per raccontare il mondo nel migliore dei modi e, quindi, acquisendo le competenze che questo tipo di osservazione richiede.
Usare l’intelligenza artificiale per smascherare immagini fasulle, come quella uscita pochi giorni fa di Trump, Netanyahu e Musk, rilanciata incoscientemente a livello globale dai media mainstream, per individuare fake news, per analizzare grandi quantità di dati ed in queste trovare quelle ricorrenze che rappresentano indizi e “fatti” invisibili all’occhio umano.
Intelligenza Artificiale al posto dei giornalisti
Nonostante le tecnologie più sofisticate siano capaci di analizzare enormi quantità di dati e generare testi in tempi rapidissimi, sostituire il giornalista con un sistema automatico non è proprio semplice come immaginarlo. Il giornalismo, infatti, non è soltanto il racconto degli eventi, ma un’attività che richiede discernimento critico, capacità di interpretare la realtà in chiave storica e culturale e una sensibilità nel cogliere le sfumature del linguaggio che vanno ben oltre il mero aggregato di informazioni. Le macchine, per quanto precise nell’elaborazione dei dati, non possiedono (ancora) quella visione d’insieme che nasce dall’esperienza sul campo e dalla consapevolezza delle dinamiche umane. La narrazione giornalistica, con il suo stile incisivo e la ricerca della verità nascosta dietro le apparenze, si fonda su un percorso di approfondimento e riflessione che resiste alla standardizzazione algoritmica.
Il uno studio, pubblicato in questi giorni,Luciano Floridi[7] propone una nuova prospettiva sull’intelligenza artificiale (IA), interpretandola non come una forma di intelligenza, ma come una nuova forma di agency (capacità di agire).
Questo significa che l’IA dovrebbe essere compresa come un sistema capace di agire in modo autonomo, senza necessariamente possedere intelligenza, coscienza o intenzionalità.
L’autore sostiene la tesi della Multiple Realisability of Agency (MRA), secondo cui questa capacità di agire non è limitata agli esseri umani o ai sistemi biologici, ma può assumere diverse forme, inclusa quella artificiale.
Floridi distingue tra due tesi contrapposte:
- Artificial Realisability of Intelligence (ARI): espandere il concetto di intelligenza per includere forme artificiali.
- Multiple Realisability of Agency (MRA): ampliare la nozione di agency per includere forme artificiali che non richiedono cognizione, intenzione o stati mentali.
L’autore dimostra che la seconda prospettiva è più solida, evitando interpretazioni antropomorfiche e biologiche dell’IA. Utilizzando il Method of Abstraction, Floridi esamina vari tipi di agency (naturale, biologica, sociale, artefatta, umana e sociale umana), evidenziando come l’IA si configuri come una nuova forma di artificial agency, distinta da quella umana.
Floridi propone che l’IA non possieda intelligenza in senso proprio, ma funzioni come un sistema agentico con capacità di interazione, autonomia e adattabilità, pur rimanendo vincolato a obiettivi programmati e privo di consapevolezza. Il documento introduce anche il concetto di Agentic AI, una forma avanzata di intelligenza artificiale sociale che opera in modo coordinato per risolvere problemi complessi.
Questa teoria di Floridi definisce nuovi confini ed apre nuove prospettive dal punto di vista etico, di governance, giuridiche e di responsabilità.
In questa interpretazione dell’IA come agency artificiale, senza intelligenza, proviamo ad immaginarne alcune implicazioni significative per il giornalismo. In particolare:
- Automazione delle notizie: Se l’IA è vista come agency (capacità di agire) piuttosto che come intelligenza, strumenti di generazione automatica di contenuti (come LLM e sistemi di scrittura automatizzata) devono essere considerati agenti esecutivi, privi di comprensione e intenzionalità. Questo implica che il giornalismo non può delegare la responsabilità editoriale alle macchine.
- Ruolo nei processi decisionali: Le IA impiegate nell’analisi delle notizie, nella selezione degli argomenti e nella moderazione dei contenuti devono essere inquadrate come strumenti con agency limitata, progettati per eseguire compiti specifici senza possedere un’autonomia decisionale comparabile a quella umana.
- Affidabilità e bias: Se le IA non sono intelligenti ma agenti che operano su modelli statistici, il rischio di bias e distorsioni nei contenuti generati è elevato (come evidenziato anche nello studio di Quattrociocchi). Il giornalismo dovrebbe quindi concentrarsi sulla trasparenza degli algoritmi e sulle modalità di supervisione editoriale.
- Accountability e regolamentazione: Il concetto di distributed morality suggerito da Floridi, in cui la responsabilità delle azioni dell’IA è distribuita tra sviluppatori, utenti e istituzioni, è particolarmente rilevante nel giornalismo, dove la veridicità e l’etica della comunicazione sono fondamentali.
Quando si tratta di analizzare eventi complessi o situazioni ambigue, il processo decisionale umano – fatto di intuizione e del coraggio di mettere in discussione le versioni ufficiali – si rivela difficilmente sostituibile.
Giornalismo, dunque, non può essere ridotto alla capacità di produrre un testo grammaticalmente corretto, ma deve essere considerato nella profondità dell’analisi e nella capacità di collegare dati e storie, creando un racconto al tempo stesso rigoroso e coinvolgente.
In questo scenario, l’intelligenza artificiale può fungere da strumento di supporto, ma non può assumere il ruolo di guida nell’interpretazione della realtà, poiché le sue risposte mancano della sensibilità e dell’etica proprie del lavoro giornalistico.
Come già scritto, almeno per il momento.
NOTE
—
[1] David Mouriquand, “Boris Eldagsen rifiuta il premio: “la mia opera generata dall’IA”, Euronews, 20 aprile 2023
[2] Interskills, “Due degli ultimi Pulitzer hanno usato l’IA per le loro inchieste”, 10 maggio 2024
[3] City Bureau – Invisible Institute, “Missing in Chicago”, 14 nevembre 2023
[4] Edoardo Suaréz, “New York Times publisher A. G. Sulzberger: “Our industry needs to think bigger”, Reuters Institute for the study on Journalism, 19 febbraio 2024
[5] Mario Tedeschini Lalli, “Salvare il giornalismo, forse”, Osservatorio sul giornalismo digitale Ordine Giornalisti, maggio 2024
[7] Luciano Floridi, AI as Agency without Intelligence: On Artificial Intelligence as a New Form of Artificial Agency and the Multiple Realisability of Agency Thesis, 12 febbraio 2025
ANTONIO ROSSANO
Antonio Rossano, giornalista, è presidente di Media Studies, ente non profit che si occupa dell’analisi e divulgazione delle tematiche inerenti i media ed amministratore di Interskills, società che si occupa di comunicazione digitale e formazione.
Ha scritto e scrive per varie testate, enti e siti, tra cui L’Espresso, Repubblica, Regione Ticino, LSDI, Wired.
Ha insegnato di tematiche relative al giornalismo in vari Master e collabora, in qualità di docente, con l’Ordine dei Giornalisti per la formazione degli iscritti.
Consulente per il digitale dell’Ordine dei Giornalisti di cui coordina il progetto «Osservatorio sul giornalismo digitale» è membro del comitato scientifico della Fondazione Murialdi sul giornalismo italiano.
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