Condividendone i contenuti e il senso degli appelli si pubblicano qui di seguito le note di Ossigeno sul DDL Diffamazione e di solidarietà dell’Ordine regionale ai colleghi del Giornale di Sicilia.
Il Presidente

Carlo Verna

Esuberi al GdS, l’Ordine: si riprenda il confronto

«Non ci si può rassegnare a vedere marciare una testata storica come il Giornale di Sicilia verso un declino inarrestabile, vederla ridurre ai minimi termini a seguito del nuovo piano di esuberi che riguarda 17 giornalisti su 34, assistere a una sfiancante e dolorosa contrapposizione tra editori e redazione che non riescono a trovare un “comune sentire” per un progetto di rilancio». Lo dice l’Ordine dei giornalisti di Sicilia che manifesta la propria solidarietà ai colleghi che hanno proclamato uno sciopero di due giorni dopo il fallimento della trattativa sindacale a Roma e l’annuncio degli editori di volere attivare le procedure per la cassa integrazione a zero ore, primo passo verso il licenziamento di 17 giornalisti. «Sono colleghi di grande esperienza, costituiscono un patrimonio dell’azienda e una garanzia di professionalità per i lettori: davvero si può rinunciare a cuor leggero a tutto questo senza compromettere definitivamente il futuro di una testata che ha appena tagliato il traguardo dei 160 anni? Nessuno nega le ragioni degli editori, prima fra tutte la gravità della crisi che ha investito il mondo dell’editoria, acuita ancora di più dall’emergenza Covid. Ne sono consapevoli per primi i giornalisti del “Sicilia” che in questi ultimi anni non si sono mai tirati indietro di fronte alla richiesta di sacrifici. Ma hanno anche presentato proposte per non renderli vani e per rilanciare il giornale, proposte che però non hanno mai trovato accoglienza».«Tagliare il numero dei giornalisti – rileva l’Ordine – non è la strada giusta per uscire dalla crisi, non risolve i problemi alla radice, né a lungo andare può risollevare il giornale. Lo si è visto. Gli editori del Giornale di Sicilia hanno infatti già rimaneggiato la redazione con il licenziamento dei corrispondenti e collaboratori fissi, allontanato i vecchi contrattisti, chiuso le redazioni provinciali, mandato a casa tipografi e amministrativi. I nuovi tagli rischiano di essere perciò un colpo mortale per l’azienda alla quale si chiede invece un passo deciso, come stanno facendo altri giornali nel Paese, verso l’innovazione e la trasformazione digitale. Un salto nel futuro che non può avvenire senza i giornalisti. L’Ordine chiede agli editori del Giornale di Sicilia di rivedere le proprie posizioni e di riprendere al più presto il dialogo con la redazione. Si è ancora in tempo, anche se è stata presentata alla Regione la richiesta di confronto per il riconoscimento dello stato di crisi. E rinnoviamo l’invito alle istituzioni, primo fra tutti il presidente della Regione Musumeci, a svolgere un ruolo importante di mediazione per scongiurare, in un momento drammatico di crisi, il licenziamento di 17 giornalisti e il ridimensionamento dell’informazione in Sicilia. Sarebbe un prezzo troppo alto che pagherebbero non solo i giornalisti ma i siciliani, che oggi più che mai hanno bisogno di un’informazione libera, qualificata e autorevole».

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DDL Diffamazione al Senato. Proposte maxi-multe più raggelanti del carcere

Emendamenti di varie parti politiche propongono di fissare il minimo (che adesso e di  516 €) a 10, a 20 o a 40 mila €. Che cosa ha chiesto invece la Corte Costituzionale

Questa settimana dovrebbero essere discussi in aula in Senato i due disegni di legge a firma Caliendo e Di Nicola. Il primo introduce modifiche normative in materia di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione; di condanna del querelante nonché di segreto professionale, e disposizioni a tutela del soggetto diffamato. Il secondo, modifiche in materia di lite temeraria.

La discussione in Senato giunge dopo l’ordinanza della Consulta emessa a giugno di quest’anno che, nel rinviare di un anno la questione sulla legittimità costituzionale delle norme che prevedono il carcere per la diffamazione, auspicava una rimodulazione delle “strategie sanzionatorie”. In sostanza, si tratta di coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi. Vittime – proseguiva la Corte su questo punto – oggi “esposte a rischi ancora maggiori che nel passato”. Basti pensare agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinati dai social networks e dai motori di ricerca in internet, il cui carattere lesivo per la vittima – in termini di sofferenza psicologica e di concreti pregiudizi alla propria vita privata – risulta grandemente potenziato rispetto a quanto accadeva anche solo in un recente passato.

L’esame degli emendamenti proposti dai senatori, di maggioranza e opposizione, rivela una coesione inedita sul fronte dell’inasprimento delle pene pecuniarie per la diffamazione. La “strategia sanzionatoria” che sembra prendere corpo è quella secondo la quale l’intero Senato ritiene di bilanciare l’abolizione del carcere con multe salatissime, idonee ad avere un effetto raggelante sulla libertà di informazione ben peggiore di quella che aveva il carcere. Le pene detentive, tutto sommato, non venivano applicate se non nei casi più gravi.

Non si salva nessuno. Nessun senatore della Repubblica italiana ha raccolto l’invito proveniente dagli esperti della materia e dalle organizzazioni dei giornalisti di contenere l’asprezza delle multe pecuniarie che, così come configurate, rischiano di spegnere in un colpo solo molti organi di informazione minori. Probabilmente nemmeno le testate più importanti potranno reggere l’urto delle nuove sanzioni. Notevoli saranno, infatti, le ripercussioni sui bilanci societari determinate dalla transizione dalla multa attualmente vigente, mediamente quasi mai superiore a poche centinaia di euro, alle multe prospettate con gli emendamenti all’esame del Senato mai inferiori a 10.000 euro. Chi non potrà pagare, e saranno in molti, vedrà la propria multa pecuniaria convertita dal giudice in giornate di libertà controllata ex art. 102 L. 689/81, oppure in lavoro socialmente utile. Orbene, ai fini della conversione, ove possibile, un giorno di pena detentiva corrisponde a 250 euro di pena pecuniaria. Quindi, se un giornalista non potrà pagare una pena pecuniaria di 20.000 euro, sarà sottoposto a una restrizione della libertà personale (diversa dal carcere) pari a 80 giorni.

Certamente non un bel segnale per chi – come noi – aveva riposto molte aspettative in questo primo passaggio parlamentare. Per far comprendere il livello di inasprimento che si vorrebbe introdurre con gli emendamenti presentati in Senato ne citiamo alcuni che riguardano l’articolo 13, primo e secondo comma, della legge 47/48, ovvero la norma specifica della diffamazione a mezzo stampa. Da sinistra, centro e destra piovono emendamenti che aumentano multe che già erano eccessivamente elevate e che la Commissione Giustizia del Senato aveva comunque approvato. Infatti, l’attuale forbice da 5.000 a 10.000 euro verrebbe raddoppiata da 20.000 a 40.000. Con alcuni emendamenti si chiede addirittura di portare il massimo edittale fino a 50.000 euro senza l’attribuzione del fatto determinato falso. C’è anche chi, in presenza dell’attribuzione di un fatto determinato falso, di cui al secondo comma del citato articolo 13, arriva a chiedere l’aumento della pena, nel minimo, da 10.000 a 50.000 euro e, nel massimo, da 50.000 a 100.000 euro. Un’enormità.

Al di là degli importi, che qui rischiano soltanto di annoiare il lettore, il dato saliente consiste nel rilievo che nessun senatore ha sentito minimamente l’esigenza di eccepire che le pene pecuniarie decise dalla Commissione Giustizia erano già troppo elevate e che andavano ridotte. Gli emendamenti raccontano di una volontà diversa, peraltro trasversale, a dimostrazione del fatto che sul tema della limitazione della libertà di stampa il Parlamento italiano trova spesso incredibili convergenze. Non crediamo che la Consulta intendesse esattamente questo quando chiedeva nuove “strategie sanzionatorie” in risposta all’imminente abolizione del carcere per la diffamazione. Probabilmente, come accade da venti anni, il migliore auspicio è che naufraghi anche questo ennesimo tentativo di sedicente riforma e che sopravvivano le vecchie norme che, bene o male, hanno regolato l’informazione nel nostro Paese per oltre settant’anni.

 

 

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