Caesar è il nome in codice che protegge l’identità di un ex fotografo della polizia militare siriano. Grazie al suo coraggio, è stato possibile documentare le atrocità commesse dal regime di Bashar al-Assad

  

Il festival Pordenone Docs Fest – Le Voci del Documentario organizzato da Cinemazero porta nel capoluogo friulano il meglio del cinema del documentario internazionale, con film pluripremiati, numerosi ospiti, incontri ed eventi, trasformando la città di Pordenone in un osservatorio privilegiato sulla contemporaneità.

Il Premio Images of Courage 2023 che aprirà il Festival con una cerimonia speciale, mercoledì 29 marzo alle 17 e 30, verrà assegnato al fotografo Caesar, nome in codice che protegge l’identità di un ex fotografo della polizia militare di Damasco, il cui incarico era stato per anni quello di riprendere le varie scene del crimine, quali omicidi, furti, rapine, incidenti stradali. Grazie al lavoro e al coraggio di Caesar, giornalisti di tutto il mondo hanno potuto  informare   l’opinione   pubblica   sulle   atrocità   commesse   dal   regime siriano. Nel 2011, il lavoro di Caesar e dei suoi colleghi siriani cambia: non si tratta più di fotografare normali scene di eventi criminosi, ma di documentare la fine che il regime riserva ai suoi oppositori. Una fine terribile, come terribili sono le fotografie che Caesar deve scattare ai corpi delle vittime delle torture inflitte loro dagli agenti di Bashar Assad.

Per due anni, fino all’estate del 2013, Caesar fotografa per gli archivi dei servizi di sicurezza i corpi macellati di migliaia di persone uscite senza più vita dalle carceri di Damasco. Rischiando di essere scoperto e di fare la stessa fine dei soggetti delle sue foto, Caesar copia tutte le immagini su una chiavetta e le conserva, condividendo il suo segreto e la sua angoscia solo con pochissimi amici fidati, insieme ai quali prepara la fuga e l’espatrio che avvengono nell’estate del 2013. Caesar diserta, lascia la Siria e porta con sé decine di migliaia di immagini. Le fotografie di Caesar vengono analizzate all’inizio del 2014 da un team formato da Sir Desmond Lorenz de Silva, ex procuratore capo della Corte Speciale per la Sierra Leone, Sir Geoffrey   Nice, ex   procuratore   nel   processo   contro   il   presidente   della Jugoslavia, Slobodan   Milosevic   e   dal   Professor David   Crane, che   condusse   l’accusa contro il Presidente della Liberia e “signore della guerra” Charles Taylor. Quasi due anni dopo, nel dicembre 2015, anche l’ong Human Rights Watch conclude la sua analisi, pubblicando un dettagliato   rapporto che   costituisce   un   atto   d’accusa   semplicemente sconvolgente, intitolato “Se i morti potessero parlare – Uccisioni e torture di massa nelle strutture di detenzione in Siria”.

Non solo, le tragiche immagini rese pubbliche hanno consentito alle famiglie degli scomparsi, di cui non avevano più alcuna notizia, almeno di sapere che non erano più in vita.

Dalle migliaia di foto di Caesar è stata tratta una mostra, composta da una trentina di pannelli, esposta – fra il 2014 e i primi mesi del 2016 – al Palazzo di Vetro dell’ONU a New York, al Museo dell’Olocausto a Washington, a Westminster, al Parlamento Europeo di Strasburgo, a Parigi, Dublino, Montreal ed altre città, presso aule universitarie o gallerie nazionali.

In Italia la mostra è arrivata nel 2016, promossa da diverse associazioni (Amnesty International, la Federazione Nazionale Stampa Italiana, la OCSIV, Articolo 21, UniMed – Coordinamento delle Università del Mediterraneo e Un ponte per…). Il   lavoro   di   Caesar  è  stato  determinante per l’incriminazione per crimini contro l’umanità di Bashar Assad da parte della magistratura francese.

L’evento comprende la proiezione del documentario in anteprima nazionale The lost souls of Syria, alla presenza dell’autrice Garance Le Caisne, giornalista indipendente francese specializzata sul Medio Oriente, che dal 2010 si occupa in particolare di Siria raccontando le storie di persone che sopravvivono all’orrore.

Interviene Giulia Torrini del Consiglio nazionale di Un Ponte Per, associazione che da trent’anni opera in Medio Oriente, Nord Africa e nei Balcani per promuovere pace e diritti umani.

L’evento è realizzato con il patrocinio e il sostegno dell’Ordine nazionale dei Giornalisti e Il Capitello, in collaborazione con Amnesty International, Un Ponte Per, Odine Regionale dei giornalisti FVG  e CRAF FVG.

 

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