“Una nuvola scintillante di frammenti”: l’informazione al tempo dei nuovi social e lo “spacchettamento” della professione.
Lelio Simi
Giornalista
Data l'ampiezza della trattazione, il testo è stato suddiviso in capitoli collegati ai pulsanti qui sotto.
Di cosa parliamo quando parliamo di informazione oltre i giornali?
Nella seconda metà degli anni Dieci all’interno di tutta la filiera dei giornali si è dovuto definitivamente prendere atto che quella che potremmo definire “la grande promessa di Facebook di salvare i giornali” non sarebbe stata mantenuta, e nemmeno ci sarebbe andata vicino.
Già nel 2015 i più attenti tra gli osservatori del mondo dei media avvertivano che l’eccessiva dipendenza dei giornali dal social più popoloso del pianeta presentava un “lato oscuro”: “Un numero crescente di editori online tra i quali giganti come BuzzFeed si affidano a Facebook per una parte significativa del loro traffico, in alcuni casi fino al 60%. Per lo più, è una relazione win-win con Facebook che fornisce una quota di entrate pubblicitarie in cambio di materiale coinvolgente. Ma di tanto in tanto, possiamo dare un’occhiata dietro il sipario e vedere quanto questa relazione regali potere a Facebook, e immaginarci le conseguenze se dovesse cambiare idea»[1].
La seconda “grande illusione” si è consumata definitivamente ad inizio degli anni Venti quando giornali “solo digitali” di portata internazionale come Vice Media, BuzzFeed, Vox Media, hanno imboccato una parabola discendente improvvisa che ha portato molti di loro a dichiarare bancarotta o chiudere, spesso in modo repentino, l’intera redazione giornalistica. Eppure per alcuni anni — ad inizio degli anni Dieci — questi progetti editoriali hanno personificato “il nuovo che avanza” aggregando su internet e le reti sociali un numero enorme di lettori, soprattutto tra le generazioni più giovani, grazie a uno stile giornalistico nuovo e irriverente (che nelle sue forme migliori ha anche raggiunto livelli di qualità elevati[2]) e modelli economici basati su nuovi format pubblicitari.
Il loro declino dopo nemmeno un decennio, la loro difficoltà di dotarsi di modelli di business più solidi e meno legati dalle grandi piattaforme è coincisa anche con l’evidente incapacità di mantenere, e far crescere, la loro base di lettori nel tempo: quella generazione di lettori giovani che, stanchi dei giornali tradizionali, erano stati catturati da uno stile “informale e divertente” non hanno dato seguito al loro iniziale entusiasmo.
Insomma è stata seriamente messa in discussione quell’idea che andare “là dove sono i lettori più giovani” (i social o le app del momento) potesse servire per conquistare i lettori del futuro. Come ha scritto il Reuters Institute: “Non ci sono elementi ragionevoli per aspettarsi che i nati negli anni Duemila arrivino improvvisamente a preferire i siti web vecchio stile, né tantomeno la TV o la stampa, semplicemente perché col passare del tempo crescono d’età”.
Conseguenza principale di questo stato delle cose è stato che i siti dei giornali tradizionali si sono “chiusi” adottando paywall sempre più restrittivi (incremento dei contenuti per i soli abbonati e quota di articoli accessibili gratuitamente sempre minore: da 20 a 10 a soltanto 5) configurandosi in questo modo come “giardini recintati” ad accesso esclusivo ai soli paganti.
Hanno, in sostanza, cercato anche nel digitale di costruire il giornale intorno ai propri lettori paganti la cui età media però, nel frattempo, è continuata ad aumentare senza che i promessi lettori del futuro, una volta raggiunta la maturità, arrivassero davvero a dare il cambio di guardia.
Il risultato è che anche nell’online i siti dei quotidiani italiani non crescono in audience, anzi nell’ultimo anno sono diminuiti come sottolineano i dati sui consumi mediatici degli italiani raccolti dal Censis[3]: gli utenti dei siti dei quotidiani, il 30,5% degli italiani nel 2023, sono diminuiti di 2,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente, con un aumento rispetto ai cinque anni precedenti di soli 4 punti percentuali; mentre è da rilevare che gli italiani che utilizzano i siti web d’informazione “solo digitali” non collegati a testate cartacee sono rimasti stabili; il 58,1% della popolazione sia nel 2023 come nel 2022 (con una crescita nettamente superiore a quella dei siti dei quotidiani nel medesimo periodo: 12 punti percentuali dal 2018 al 2023).
È questo il contesto nel quale si sono inseriti nuovi soggetti che, nel digitale, hanno trovato spazi lasciati liberi dall’informazione legacy, che possiamo suddividere così:
- Portali di informazione che non adottano paywall lasciando libero accesso a tutti i loro contenuti; in questa categoria troviamo due tendenze:
- a) testate online che puntano principalmente (se non esclusivamente) nei ricavi da pubblicità e in particolare nel formato etichettato come “contenuto sponsorizzati” (un esempio in Italia e Fanpage del gruppo Ciaopeople),
- b) quelli che, pur mantenendo la quasi totalità dei loro contenuti fruibili gratuitamente a tutti, hanno attivato una forma di abbonamento opzionale nel quale si chiede ai propri lettori di diventare dei sostenitori/patroni nella logica “io pago perché è importante che tutti leggano”.
- Progetti editoriali “social native” che guardano alle reti sociali come un modo per informare direttamente un proprio pubblico che, nei social, “vive” la sua intera esperienza su digitale ed è poco intenzionato a trasferirsi sui siti web per informarsi. Per questi progetti editoriali privi di un proprio sito web (o nel caso esista, utilizzato principalmente per aggregare alcuni contenuti propri) le piattaforme più utilizzate sono Instagram e TikTok che hanno una base utenti più giovane, dove i singoli post social sono realizzati come format “autoconclusivi” invece che farne dei meri elementi di promozione di notizie da leggere, poi, sui siti web istituzionali.
NOTE
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[1] Facebook and the Media Have an Increasingly Landlord-Tenant Style Relationship
[2] premio Pulitzer a BuzzFeed News
[3] 19° Rapporto sulla comunicazione (Censis, marzo 2024).
LELIO SIMI
Giornalista, ha iniziato nella carta stampata dove è diventato professionista, si occupa di informazione e Internet dal 2001 in uno dei primi network di portali online di informazione in Italia. Si occupa principalmente di innovazione, strategie e modelli di business editoriali raccontando, in particolare, la profonda trasformazione avvenuta nell’industria dei media in questi anni attraverso reportage e inchieste pubblicate— tra gli altri — da Il Manifesto, Pagina 99, Link, Eastwest, Altreconomia, L’Essenziale. È stato uno dei fondatori del gruppo di lavoro DataMediaHub, una delle prime esperienze di data-journalism in Italia, nella quale si è dedicato in particolare all’analisi dei dati economici dell’industria italiana dei giornali. È uno degli autori dell’antologia “Datacrazia” (D Editore, 2018), nel 2021 ha pubblicato per Hoepli “#Mediastorm – Il nuovo ordine mondiale dei media”. #Mediastorm è anche la sua newsletter.
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