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“Una nuvola scintillante di frammenti” - Sommario - Ordine Dei GiornalistiOrdine Dei Giornalisti

Ordine dei Giornalisti - Consiglio Nazionale

“Una nuvola scintillante di frammenti” – Sommario

02/05/2024

immagine realizzata con IA Midjourney

REPORT 2024

“Una nuvola scintillante di frammenti”: l’informazione al tempo dei nuovi social e lo “spacchettamento” della professione.

Lelio Simi
Giornalista

Data l’ampiezza della trattazione, il testo è stato suddiviso in capitoli collegati ai pulsanti qui sotto.

SOMMARIO DEL CAPITOLO

Introduzione

Da circa quattro lustri il ciclo di aggregazione e disaggregazione delle piattaforme digitali investe e rivoluziona interi settori industriali, dal trasporto pubblico (con app come Uber) a quello del turismo (con app come Airbnb), colpendo anche le industrie dei media, compresa quella dei giornali e delle notizie.

Non soltanto il formato “monoblocco” del giornale è stato frammentato — in singoli articoli consegnati, pezzo per pezzo, via social media e riassemblati poi in grandi aggregatori come Google News o Apple News — ma il ciclo digitale bound/unbound ha disaggregato anche la “professione” giornalistica abilitando potenzialmente chiunque a diventare un “fornitore di servizi di informazione” in modalità del tutto simile a come (potenzialmente) è stato abilitato chiunque a diventare un “fornitore di trasporto pubblico” o un “fornitore di un alloggio temporaneo”.

Tutti trasformati, in questo nuovo contesto digitale, in nuove figure professionali giudicate da algoritmi basati su metriche di “gradimento” finalizzate a determinarne la visibilità all’interno delle piattaforme e degli aggregatori online.

Il risultato è stata una continua e crescente disaggregazione dell’offerta informativa che, negli ultimi anni, ha visto al suo interno emergere e rafforzare quella che oggi viene chiamata “economia dei creatori”, abilitata e sostenuta da piattaforme digitali che, con varie modalità, condividono parte dei ricavi pubblicitari con gli autori (come ad esempio YouTube, Instagram o TikTok) o che forniscono la possibilità a singoli creatori di ricevere denaro direttamente dai loro utenti attraverso singole ricompense una tantum o abbonamenti mensili (un esempio di questo modello sono piattaforme come Patreon e Substack).

È in questo quadro enormemente frammentato — e variamente “professionalizzato” — che oggi devono muoversi i lettori in cerca di notizie e approfondimento: ognuno di loro “conteso” da un’infinità di singole fonti che popolano le maggiori piattaforme digitali, in un ecosistema dell’informazione nel quale i giornali (nel loro complesso e in qualsiasi forma, dal classico sito web ai loro account ufficiali nei social media) non sono che una delle tante componenti.

Come ha scritto a ottobre 2023 il Washington Post: “L’onda dei content creator supera i media tradizionali” (“Content creators surge past legacy media”) un reportage dove si prende atto di come oggi “milioni di creatori indipendenti stiano rimodellando il modo nel quale le persone ricevono le notizie”; una tendenza, questa, che seppure riferita alla realtà statunitense (o per essere più precisi: a quella dei contenuti digitali in lingua inglese) è già ben visibile anche nello scenario italiano.

Nel contempo la profonda e prolungata crisi economica e finanziaria dell’industria dei giornali di questo ultimo decennio ha, tra le altre, delineato due tendenze che ha valore sottolineare: da una parte il pesante taglio di personale delle redazioni ha generato un nuovo scenario professionale rispetto ai decenni precedenti: chi vuole praticare la professione giornalistica non può più avere come principale (se non unica) via di sbocco quella di essere assunto da un editore in una redazione; una tendenza che porta oggi — soprattutto i più giovani, ma non solo loro — a doversi costruire un percorso professionale alternativo a quello rappresentato dal lavoro giornalistico all’interno di una struttura editoriale tradizionale.

D’altra parte, l’indebolimento degli organici delle redazioni e la conseguente minore capacità di queste, rispetto al passato, di attrarre “talento” all’interno della professione ha, inevitabilmente, contribuito a diminuire in maniera significativa l’apprezzamento e la fiducia da parte dei lettori verso i giornali.

Il lettorato dei quotidiani (replica digitale compresa) in Italia negli ultimi dieci anni, tra 2014 e 2023, è diminuito secondo i dati Audipress, nel giorno medio complessivamente del 40%; mentre i lettori nella fascia di età tra i 25 e i 45 anni del 54%. I circa 2,3 milioni di lettori persi dai quotidiani italiani in questa fascia d’età rappresentano, da soli, oltre i due quinti dell’intera flessione. Come fatto già notare nel report dello scorso anno è la “generazione di mezzo” a pesare di più nell’abbandono della lettura dei quotidiani nei quali, giocoforza, la quota dei lettori over 55 ha un peso percentuale sempre maggiore: dal 40% del 2014 al 48% del 2023.

È questo lo scenario nel quale deve muoversi chiunque, oggi, vuole tracciare alcune delle principali tendenze dell’industria delle notizie, anche in Italia, di fronte alla “trasformazione permanente” imposta dal digitale. Uno scenario — è bene precisare — nel quale “canali di distribuzione” (web, mobile e app) “luoghi” (desktop, smartphone), formati (testo, podcast, video) e tecnologie (solo per citare l’ultima: l’intelligenza artificiale) si evolvono realizzando cambi di scenario continui e repentini.
La trasformazione quindi non si presenta a tappe, una successiva l’altra in modo ordinato e compiuto — ad esempio: prima la transizione dalla carta al web e poi dal web alle app degli smartphone — ma si realizza costantemente in modalità asincrona, sovrapponendo una “fase” all’altra all’interno di un ecosistema informativo dove i giornali, in ogni loro formato, non sono che una componente, con intere generazioni di lettori, che sembrano bypassarli completamente in favore di altri soggetti e fonti.

Quali conseguenze questi nuovi scenari comportano per l’industria delle notizie, per il giornalismo, per il modo di fare informazione, in Italia? In un ecosistema delle notizie nel quale tutti possono fare informazione raggiungendo una comunità di lettori (potenzialmente) enorme, grazie ai potenti canali di distribuzione rappresentati dalle piattaforme tecnologiche presenti nei nostri smartphone, quali sono i modelli economici stanno emergendo e quali possono davvero sostenere l’informazione di qualità, quali sono invece i rischi rappresentati da questo scenario che sembra offrire al medesimo tempo sia il modo migliore per essere informati che quello per essere disinformati?

Conclusioni

Un elemento fondamentale dei nuovi scenari è, come già accennato, l’evoluzione di questi ultimi anni della cosiddetta “economia dei creatori” alimentata da piattaforme social che permettono a qualunque account di monetizzare direttamente la propria base di follower. È una svolta rispetto al decennio precedente quando piattaforme di blogging (ad esempio WordPress) e microblogging come Twitter (oggi X) o Facebook, nonostante il loro grande utilizzo tra i giornalisti e le figure che, a vario titolo fanno informazione, non sono riusciti mai a rappresentare concretamente una forma di sostegno economico diretto.

Con l’ascesa definitiva di giganti come YouTube, Instagram, TikTok o piattaforme come Substack (piattaforma per pubblicazione di newsletter) o Patreon che offrono ai creatori di contenuti non solo visibilità ma, più concretamente, la possibilità di condividere con loro una frazione dei loro ricavi, molti oggi possono vedere in queste piattaforme l’unica vera alternativa nel continuare a fare informazione con un ritorno economico anche se ad oggi – è bene sottolineare – quanto in maniera strutturata è ancora tutto da verificare.

La promessa dell’economia dei creatori (che perlopiù ad oggi resta sostanzialmente ancora una promessa) sta portando un proliferare di singoli “punti informativi”, la maggior parte destinati a popolare la “coda lunga” delle diverse piattaforme social e di creazione di contenuti. Viene così “atomizzata” l’offerta informativa non solo nel campo della cronaca nera o politica, ma anche (anzi soprattutto) in quello più vasto dei diversi settori giornalistici da sempre parte fondamentale di quotidiani e riviste (dalla recensione di libri, film e musica, alla cronaca di costume e del mondo dello spettacolo; dalla divulgazione scientifica, a quella di economia e finanza, fino al racconto di eventi sportivi e resoconto del calciomercato).

Una “nuvola scintillante di frammenti” come lo scrittore americano John Updike descrisse l’offerta di contenuti su internet già ad inizio degli anni Duemila.

E venti anni dopo di fronte alla moltiplicazione dei canali social, il Digital News Report del Reuters Institute del 2023 dichiara: “Forse i risultati più sorprendenti riguardano la natura mutevole dei social media, in parte caratterizzati dal calo del coinvolgimento con le reti tradizionali come Facebook e dall’ascesa di TikTok e di una serie di altre reti basate su video. Eppure, nonostante questa crescente frammentazione dei canali, e nonostante l’inquietudine del pubblico riguardo alla disinformazione e agli algoritmi raggiunga livelli record, la nostra dipendenza da questi intermediari continua a crescere. I nostri dati mostrano, più chiaramente che mai, come questo cambiamento sia fortemente influenzato dalle abitudini delle generazioni più giovani, che sono cresciute con i social media e oggi spesso prestano più attenzione agli influencer o alle celebrità che ai giornalisti, anche quando si tratta di notizie”.

Una gran parte dei creatori utilizza una pratica che è sempre esistita nel giornalismo: la “cura dei contenuti”. Internet ha dato la possibilità a tutti di accedere con relativa facilità a un numero enorme di fonti (articoli di giornale, agenzie, comunicati stampa, documenti d’archivio) da utilizzare per costruire i propri contenuti e poi adattarli ai tempi e ai formati delle piattaforme social (soprattutto video).

Inevitabilmente però, una volta inseriti in quelle “centrifughe” di cose che sono i feed dei social, popolati di tutto e il contrario di tutto, si cercherà di imitare quei contenuti che “funzionano” bene per gli algoritmi di raccomandazione, finendo inevitabilmente con privilegiare quelli di puro di intrattenimento, fortemente caratterizzati e codificati nel formato, facilmente replicabili nella struttura, anche da chi vuole fare operazione di disinformazione.

In questo modo però:

  • Si decide di legarsi a doppio filo (economicamente e non solo) con una piattaforma con la quale non si ha il minimo potere di influire né sulle strategie né sulle policy; quindi, con tutti le potenziali problematiche che ne possono scaturire una volta che queste piattaforme decidono unilateralmente di cambiarle.
  • C’è sempre più una tendenza a pensarsi come singoli giornalisti indipendenti (dipendendo però molto, come detto, dalle decisioni delle big tech proprietarie delle piattaforme che ci “ospitano”), nonostante un crescente numero di giornalisti nel mondo oggi abbia sempre più bisogno di infrastrutture capaci di supportarli e tutelarli.

Proprio per tutto questo bisognerà guardare al digitale — anche di fronte alle nuove tecnologie digitali emergenti come l’intelligenza artificiale generativa che a tanti oggi suscita timore per il futuro della professione giornalistica — non tanto come a un modo per trasformare tutti in (potenziali) giornalisti one-man-band, ognuno alla ricerca del suo posticino al sole, ma soprattutto come a un “luogo” da utilizzare per aggregare professionalità, elaborare e confrontare idee, sviluppare e strutturare collaborazioni, avviare progetti e dargli “gambe” per camminare. Insomma, dopo essere stati “disaggregati”, partecipare positivamente al processo di “aggregazione” e non esserne succubi lasciandolo, come già accaduto, a logiche che non hanno come assoluta priorità la diffusione verso i lettori della buona informazione.

LELIO SIMI

Giornalista, ha iniziato nella carta stampata dove è diventato professionista, si occupa di informazione e Internet dal 2001 in uno dei primi network di portali online di informazione in Italia. Si occupa principalmente di innovazione, strategie e modelli di business editoriali raccontando, in particolare, la profonda trasformazione avvenuta nell’industria dei media in questi anni attraverso reportage e inchieste pubblicate— tra gli altri — da Il Manifesto, Pagina 99, Link, Eastwest, Altreconomia, L’Essenziale. È stato uno dei fondatori del gruppo di lavoro DataMediaHub, una delle prime esperienze di data-journalism in Italia, nella quale si è dedicato in particolare all’analisi  dei dati economici dell’industria italiana dei giornali. È uno degli autori dell’antologia “Datacrazia” (D Editore, 2018), nel 2021 ha pubblicato per Hoepli “#Mediastorm – Il nuovo ordine mondiale dei media”. #Mediastorm è anche la sua newsletter.

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