(di Pierluigi Roesler Franz )

 

Quando nel maggio 2011 fui informato dall’amico e grande collega Massimo Signoretti (scomparso qualche anno fa) del fortuito ritrovamento a Roma nella cantina di un palazzo INPGI di una grande lapide con i nomi di 83 giornalisti Caduti nella Grande Guerra non avrei mai immaginato quanto sarebbe stata importante questa scoperta per la nostra categoria soprattutto per far conoscere e tramandare ai giovani e alle future generazioni le gesta eroiche dei tanti intellettuali che persero la vita combattendo nel 1° conflitto mondiale 1915-1918.

Ora a distanza di 12 anni e dopo la pubblicazione nel 2018 del libro di 448 pagine “Martiri di carta – I giornalisti caduti nella Grande Guerra” edito da Gaspari, Udine, per conto della Fondazione sul giornalismo “Paolo Murialdi”, che ho curato assieme ad Enrico Serventi Longhi, posso tranquillamente affermarlo.

Nel volume, frutto di 7 anni di complesse ricerche in tutta Italia, si racconta la storia – in precedenza mai scritta – dei tanti intellettuali dell’epoca morti combattendo eroicamente in guerra e in gran parte poi decorati al valor militare. Provenivano da ogni Regione. Erano scrittori, letterati, critici letterari, poeti, poeti-soldato, poeti dialettali, lettori di poesia, umoristi, vignettisti, disegnatori satirici, caricaturisti, pupazzettisti, illustratori, xilografi, paroliberisti, stenografi, teosofi, anarchici, musicisti, sportivi, dirigenti sportivi, registi del cinema muto, nonché pittori, acquafortisti, matematici, ingegneri e architetti.

Tra di essi figurano patrioti, politici, sindacalisti, futuristi, nazionalisti, interventisti, neutralisti, massoni, socialisti, radicali, democratici, liberali, repubblicani, mazziniani, irredenti (trentini, giuliani, dalmati e istriani), garibaldini e nipoti di garibaldini della spedizione dei Mille, ex combattenti in Libia, Benadir, Eritrea e a Rodi. La maggior parte dei Caduti erano giovani ventenni (alcuni tornati addirittura appositamente dall’estero), che avevano cominciato a scrivere su grandi e piccoli giornali (una dozzina di testate sono ancora in edicola a distanza di oltre un secolo) e riviste.

Tra i giornalisti Caduti al fronte alcuni erano stati chiamati giovanissimi alle armi, mentre altri avevano deciso di affrontare la guerra come volontari – quasi tutti come ufficiali – in rappresentanza dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, rinunciando alla carriera e a posizioni di prestigio per seguire coerentemente i propri ideali. Va sottolineato che fra i Caduti figurano ben 51 direttori di giornali, figli di ministri e persino un deputato in carica. Si tratta in gran parte di

personaggi di assoluto rilievo storico e di notevole importanza, che, pur avendo immolato la loro vita per la Patria, erano rimasti purtroppo del tutto sconosciuti

finendo ingiustamente per 100 anni nell’oblìo più totale, mentre, invece, dovevano ben prima essere onorati e ricordati come avrebbero meritato.

Di ciascun Caduto sono stati individuati i dati anagrafici salienti: luogo e data di nascita, paternità, e in molti casi anche maternità, distretto della leva militare, ruolo svolto in guerra, luogo e data dell’eroica morte, indicazioni sulla sepoltura della salma (anche nei Sacrari militari), motivazioni delle decorazioni e onorificenze ottenute per il valore dimostrato sul campo, le testate giornalistiche per le quali scrivevano, eventuali iscrizioni al sindacato dei giornalisti, nonché i loro scritti, le opere, le foto (in abiti borghesi o in divisa militare), gli aneddoti ed ogni altro interessante riferimento alla loro vita, come commoventi testamenti e lettere spedite ai familiari pochi giorni prima di morire al fronte, nonché busti, lapidi o intitolazioni in loro memoria di vie, piazze, o monumenti. Si è quindi raccolta un’enorme documentazione che è stata poi man mano selezionata e sintetizzata.

La copertina del libro raffigura l’eroica morte a Castagnevizza del ventenne modenese Garibaldi Franceschi, giornalista del “Corriere di Livorno,” immortalata da Achille Beltrame sulla Domenica del Corriere del 23 settembre 1917. Franceschi morto a 20 anni fu decorato Motu proprio dal re Vittorio Emanuele III di Savoia con la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

L’unico degli 83 giornalisti indicati sulla lapide di cui ancora non si conosce quasi nulla è Vittor. (forse Vittorio o Vittorugo) Caggiano de “Il Commercio”. E’ così indicato sulla lapide inaugurata il 24 maggio 1934 da Benito Mussolini nell’atrio del Circolo della Stampa di Roma a Palazzo Marignoli in via del Corso, ma poi finita per una quarantina d’anni nella cantina di un palazzo dell’INPGI e ricollocata il 27 novembre 2017 a Roma in via Valenziani 12 /A nella sede della Fondazione sul giornalismo “Paolo Murialdi”. L’importanza di questa lapide, che contiene comunque numerosi errori, é dimostrata, paradossalmente, proprio dal fatto che vi é riportato il nome di Caggiano perché, mancando altri riscontri, non sarebbe stato assolutamente possibile ricomprenderlo tra i giornalisti combattenti caduti al fronte.

Nel libro viene anche ricordato il toscano Ettore Cantagalli del Rosso del Corriere di Livorno che per errore fu incluso sulla lapide assieme agli altri 82 giornalisti Caduti nella Grande Guerra. Egli, infatti, combattè nella Grande Guerra dove fu decorato con la medaglia di bronzo per aver salvato a nuoto un ufficiale pilota inglese caduto con il suo aereo nel Piave, ma morì solo il 28 marzo 1927 nella guerra di riconquista coloniale della Cirenaica. Cadde, infatti, in combattimento quando non aveva ancora compiuto 30 anni nella disastrosa battaglia di Er-Raheiba in Cirenaica assieme ad altri 309 soldati dei 756 che componevano il 7° battaglione Libico”. Furono trucidati dai Mujahideen guidati dall’anziano condottiero dei “Briganti Libici”, il religioso e guerrigliero Omar al-Mukhtar (“il leone del deserto”) che guidò la resistenza anticoloniale contro gli italiani ed è considerato in Libia un eroe nazionale.

La ricerca dei giornalisti combattenti morti nel 1° conflitto mondiale 1915-1918 ha comunque dato i suoi frutti perché rispetto agli 83 giornalisti riportati su questa lapide il loro numero è triplicato passando a 264 riportati sul libro, ma solo successivamente ne sono stati ritrovati altri tre (Maurizio de Vito Piscicelli, Arrigo Sutto e Donato Vestuti). Le loro biografie sono disponibili alla Fondazione Murialdi. In totale si é ora arrivati a 267. Ma è un numero che potrebbe forse lievitare ulteriormente se la loro ricerca, come auspicabile, proseguisse a livello regionale e locale coinvolgendo anche scuole, università e master di giornalismo.

Per evitare possibili equivoci è opportuno precisare che il termine “giornalista” usato nel libro va inteso nell’accezione più ampia possibile con riferimento, cioè, a quanto poi disciplinato dalla successiva e attuale legge n. 69 del 3 febbraio 1963 (istitutiva dell’Albo dei professionisti e dei pubblicisti, n.d.r.). Di conseguenza il termine “giornalista” comprende tutti coloro che prima della Grande Guerra lavoravano in giornali e riviste o vi collaboravano come pubblicisti anche di fatto in quanto svolgevano un’altra attività prevalente.

Giornalisti Caduti decorati al valor militare

E’ assolutamente indubitabile che si tratti di giornalisti Eroi per le loro gesta in 1^ linea al fronte. Lo provano le numerose decorazioni italiane ed estere al valor militare da essi ottenute: ben 15 medaglie d’oro, 113 medaglie d’argento, 48 medaglie di bronzo, 11 croci di Guerra, 44 promozioni per merito di guerra, 2 proposte di promozione, 1 promozione garibaldina, 4 proposte per una medaglia, 18 encomi militari solenni, 1 particolare elogio, 1 medaglia d’oro Pirelli per l’abbattimento di un aereo, nonché 1 medaglia d’oro serba, 3 croci di guerra francese, 1 menzione dell’Ordine Militare francese, 1 legion d’onore francese, 1 croce inglese e 1 croce di cavaliere di San Stanislao di Russia.

In media ben oltre la metà dei giornalisti italiani Caduti durante la Grande Guerra hanno ottenuto un riconoscimento militare o un’onorificenza per i loro atti eroici.

Non va poi trascurato che anche molti altri, pur non avendo ottenuto alcuna onorificenza, si sono comportati eroicamente, come il lombardo Giovanni Marchini, tenente del 156° reggimento. Infatti, nell’attacco che gli costò la vita sul monte Cappuccio (Zona del San Michele) il 24 agosto 1915, da lui ben tatticamente predisposto per accerchiare una pattuglia nemica, furono poi comunque presi prigionieri ben 147 austriaci.

Ventisette giornalisti Caduti al fronte hanno tuttavia, ottenuto due o più medaglie: 1 d’oro e 3 d’argento Carlo Ederle, 1 d’oro e 2 d’argento Maurizio de Vito Piscicelli; 1 d’oro e 1 di bronzo ciascuno (Giulio Bechi, Garibaldi Franceschi, Federico Grifeo di Partanna e Spiro Tipaldo Xydias); 2 d’argento ciascuno (Pico Cavalieri, Gianni Cipolla, Giovanni Battista De Gasperi, Domenico Giordani, Ottorino Mutti, Luciano Orlando, Alberto Pascal, Antonio Sant’Elia e Roberto Taverniti); 1 d’argento e 2 di bronzo ciascuno (Vladimiro Bono e Carlo Ridella); 1 d’argento e 1 di bronzo (Nino Bernasconi, Nunzio Cervi, Luigi De Prosperi, Alessandro Galli, Lino Perron, Franco Scarioni, Loreto Starace e Adolfo Viterbi); infine 2 di bronzo (Giovanni Costanzi e Salvatore Serretta).

E’ così emerso, come si é visto prima, che rispetto ai dati riportati sulla lapide di Roma del 1934 mancano su di essa oltre la metà delle medaglie realmente conferite. Come risultano inoltre sbagliati od omessi sulla targa marmorea anche numerosi nomi e/o cognomi.

Regioni e Città capoluogo di nascita dei giornalisti Caduti

Al 1° posto fra le Regioni dove sono nati più giornalisti Caduti combattendo al fronte figura la Toscana con 40 Eroi: Giulio Barni, Angiolino Bartoli, Giulio Bechi, Giovanni Bellini, Aspromonte Biagi, Giuliano Bonacci, Cesare Borghi, Giosué Borsi, Leonardo Cambini, Giovanni Canapa, Ugo Cantucci, Ratcliff Crudeli, Pietro D’Alfonso, Tomaso De Bacci Venuti, Gino Fiaschi, Mario Fiorini, Dino Fornaciari, Attilio Franchi (Oscar Mara), Giuseppe Franquinet de Saint Remy, Alessandro Galli, Guido Goretti, Federico Grifeo di Partanna, Vittorio Locchi, Luigi Lori, Oberto Manetti, Siro Medici, Paolo Michel, Giacomo Morpurgo, Ottorino Mutti, Giuseppino Negroni, Erberto Palagano, Giuseppe Procacci, Ercole Smaniotto, Ivo Stojanovich, Giuseppe Tafani, Ugo Tommei, Umberto Umerini, Eugenio Vajna de Pava, Angiolo Versi e Vignolino Vignolini.

Seguono ex aequo la Lombardia e l’Emilia-Romagna con 31.
Ecco i lombardi: Santino Alquati, Piero Baj, Nino Bernasconi, Luigi Berta, Giovanni Bertolazzi, Guido Buratti, Ugo Calcaterra, Arnaldo Cantù, Gualtiero Castellini, Gianni Cipolla, Giovanni Costanzi, don Gino Daelli, Ermanno Falcino, Peppino Granellini, Ettore Guatta, Emilio Guberti, Giovanni Interdonato, Enrico Magatti, Giovanni Marchini, Eugenio Panzi, Alberto Pascal, Giberto Porro Lambertenghi, Amerigo Porry Pastorel, Carlo Ridella, Antonio Sant’Elia, Franco Scarioni, Arturo Spozio, Pier Franco Terrani, Aldo Vimercati, Adolfo Viterbi e Giulio Zappa.
Mentre gli emiliani e romagnoli: Alberto Bani, Gino Barbieri, Pietro Bartoletti, Cesare Bonola, Mario Borghi, Eligio Cacciaguerra, Giovanni Capri, Athos Casarini, Carlo Cassan, Pico Cavalieri, Giacomo Crollalanza, Antonio Fantini, Garibaldi Franceschi, Domenico Giordani, Edgardo Macrelli, Germano Manini, Achille Mazzoni, Giovanni Modena, Francesco Neri, Bruno Orsoni, Angelo Paglia, Mario Poledrelli, Gianni Sacenti, Emilio Savini, Renato Serra, Giovanni Spallanzani, Gastone Tedeschi, Luca Antonio Tosi Bellucci, Giannetto Vassura, Carlo Vizzotto e Pietro Zuffardi.
A breve distanza vi é il Piemonte con 29: Ernesto Elia Begey, Vladimiro Bono, Leopoldo Chinaglia, Achille De Stefanis, Achille Dogliotti, Ferdinando Donna, Carluccio Gallardi, Paolo Henry, Alberto Incisa di Camerana, Cesare Jarach, Raimondo Lagostena, Guido Lerda, Eugenio Elia Levi, Alberto Maffei, Luigi Mina, Giovanni Battista Morandi, Achille Necco, Nino Oxilia, Aurelio Pelazza, Lino Perron, Gian Giacomo Porro, Mario Tancredi Rossi, Mario Sapegno, Benedetto Soldani, Paolo Talice, Eugenio Uberti, Armando Vacca, Dante Zanardi ed Emilio Vitta Zelman.
Poco più indietro si trovano il Veneto con 21 (Astolfo Astolfi, Romeo Battistig, Luciano Borella, Pietro Condulmer, Luigi De Prosperi, Antonio De Toni, Carlo Ederle, Piero Finotti, Ugo Mainero, Ettore Mamotti, Paolo Marconi, Guido Marinelli, Guido Negri, Camillo Pasti, Mario Pichi, Giulio Pitteri, Mario Preite, Ermanno Senigaglia, Pietro Soldati, Arrigo Sutto e Giovanni Talamini) e la Campania con 17 (Aristide Ardovino, Arturo Caruso, Vittorio Cotronei, Antonio D’Amelio, Pietro Ermete De Marinis, Felice De Masi, Maurizio de Vito Piscicelli, Carlo Fava, Mario Giampietro, Roberto Marciano, Fulcieri Paulucci de’ Calboli, Manlio Pintaura, Alfredo Righini, Loreto Starace, Ruggiero Torelli, Gerardo Turi e Donato Vestuti).
Sempre a due cifre con 12 a pari merito la Sicilia (Eugenio Aliotta, Ettore Arculeo, Giovanni Borgese, Nino Caravaglios, Ettore D’Agata, Ignazio Ferro, Nino Lazzaro, Nino Navarra, Luciano Orlando, Vincenzo Picardi, Salvatore Serretta e Giuseppe Teresi), e il Lazio (Mario Alberti, Vittorio Cacciami, Livio Caetani di Sermoneta, Alberto Caroncini, Emilio Carosi, Mario Corvisieri, Settimio Di Vico, Riccardo Fiorilli, Renato Giovannetti, Gino Laganà, Augusto Soldani e Vito Viti). Quindi le Marche con 10 (Augusto Agabiti, Alberico Bacciarello, Filippo Corridoni, Lamberto Duranti, Ennio Mancini, Manlio Marinelli, Amilcare Mazzini, Arturo Mugnoz, Eugenio Niccolai e Gaetano Serrani) e la Puglia con 8 (Napoleone Battaglia, Giuseppe Carducci Artenisio, Luigi De Stasi, Federico Di Palma, Felice Figliolia, Francesco Natale, Luigi Siconolfi e Mario Tosini).
C’è poi la Sardegna con 7 (Ernesto Butta, Pietro Canalis, Nunzio Cervi, Attilio Deffenu, Salvatore De Rosa, Giannetto Masala e Enrico Preti) e con 5 ciascuna altre tre Regioni: la Liguria (Giovanni Ardy, Rodolfo Fumagalli, Paolino Gibelli, Ilvo Marengo e Augusto Moreschi), il Friuli-Venezia Giulia (Angelo Astolfoni, Giovanni Battista De Gasperi, Riccardo Della Torre, Pietro Geminiani e Gaetano Perusini) e la Calabria (Salvatore Barillaro, Umberto Boccioni, Vincenzo Capua, Luca Labozzetta e Roberto Taverniti). In coda la Basilicata con 4 (Giovanni Boccaccino, Achille Mango, Enzo Petraccone e Alighiero Picardi) e con 2 ciascuno l’Abruzzo (Italo Fraticelli e Fernando Leone), il Molise (Michelangelo Benevento e Aristide Giovannitti) – che all’epoca formavano, però, assieme un’unica Regione e l’Umbria (Gaspare Bianconi e Peppino Leonelli). Infine, fanalino di coda la Valle d’Aosta con 1 (Vincent Rean).
Nutrito anche il numero degli irredenti: 15, dei quali 8 di Trieste già citati, 4 del Trentino-Alto Adige (Cesare Battisti, Arturo Bonetti, Damiano Chiesa e Gerolamo Tevini), 2 di Capodistria (Angelo Della Santa e Pio Riego Gambini), 1 di Fiume (Mario Angheben) e 1 di Pola (Giuseppe Vidali).

Ad essi vanno aggiunti 6 giornalisti nati all’estero.  Tre di loro lavoravano al “Corriere della Sera”: Vezio Lucchesi (nato a Il Cairo, corrispondente dall’Egitto e pilota in guerra), Alfredo Casoli (nato in Argentina, ma residente a Milano) e Felice Suigo (anch’egli nato in Argentina, ma residente sin da bambino a Cislago, in provincia di Varese).  Il quarto fu Adriano Bacchi (nato in Svizzera), Direttore del “Giornale dei pasticcieri, confettieri, fabbricanti di cioccolato, biscotti, pane di lusso, frutti canditi, liquoristi, gelatieri, ecc., rivista quindicinale tecnico-professionale, edita nel 1911 a Milano, e 1° giornale di settore in Italia. Il quinto Ferruccio Salvioni, anch’egli svizzero, nativo di Bellinzona e collaboratore de “L’Adula”, periodico ticinese d’intonazione irredentista. Era figlio di Carlo (illustre professore dell’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano, fondatore del vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana) e di Enrichetta. Suo fratello Enrico, più giovane di lui di circa due anni e a cui era molto legato, combatté come Sottotenente del 91° reggimento fanteria e morì nella notte del 12 maggio 1916 nei pressi di Cortina d’Ampezzo al cospetto delle Tofane sul monte Cadini.

Un altro dei giornalisti nati all’estero era Amerigo Rotellini (nato a San Paolo del Brasile, figlio unico di famiglia mantovana emigrata in Sud America dove aveva fatto fortuna). Suo padre Vitaliano, ricchissimo editore del “Fanfulla” di San Paolo del Brasile, istituì poi in memoria del figlio una Fondazione a lungo amministrata dall’ambasciatore del Brasile in Italia, da un rappresentante del ministero degli Esteri italiano e da un esecutore testamentario, in cui confluirono tutti i suoi beni lasciati in eredità nel 1930 per finanziare gli studenti brasiliani che venivano a studiare in Italia. Vitaliano Rotellini, sempre per ricordare degnamente il suo unico figlio, istituì anche un lascito in favore dell’Università “La Sapienza” di Roma con 2 Borse di studio per studenti figli di giornalisti.

Infine, Vittor. (forse Vittorio o Vittorugo) Caggiano de “Il Commercio” (é così indicato sulla lapide) é, invece, l’unico al momento di cui si conoscono solo le date di nascita e di morte, ma é stato escluso che sia nato a Torino, come erroneamente si credeva.

Tra i Caduti figurano anche 6 giornalisti andati a lavorare all’estero che avevano deciso di tornare in Italia per andare a combattere nella Grande Guerra.

Il calabrese Vincenzo Capua per una singolare, quanto tragica, circostanza morì nella stessa battaglia in cui cadde anche l’altro giornalista calabrese Salvatore Barillaro; vi era poi il bolognese Athos Casarini, pittore futurista, illustratore, cartellonista e disegnatore satirico. Era emigrato negli USA collaborando con giornali e le principali riviste del Nord America quali “Post-Dispatch”, “New York World”, “Harper’s Weekly” e “Coller’s” che pubblicarono le sue eleganti ed apprezzatissime illustrazioni.
Il friulano Pietro Geminiani di Udine, redattore de “La Patria del Friuli” dove aveva lavorato nel 1914 era poi andato a Marsiglia. Qui aveva fondato e diretto l'”Unione Latina”, giornale interventista che trovò apprezzamento presso la locale colonia italiana, sollevando ondate di entusiasmo.
Il ligure Paolino Gibelli (Paolo per l’Anagrafe) di Oneglia-Porto Maurizio (oggi Imperia) era redattore de “La Patria degli Italiani” (uno dei quotidiani in lingua italiana di maggiore importanza tra quelli pubblicati fuori dalla madrepatria) e del “Giornale d’Italia”, nonché già redattore capo del giornale argentino indipendente

in castigliano “El Tribuno” traducendo due romanzi della scrittrice londinese George Corbett. Collaborò con giornali e riviste italiani, inglesi, francesi e spagnoli grazie alla sua perfetta conoscenza di ben 4 lingue. Per la sua rilevanza a Gibelli é stata intitolata una via ad Imperia.
Il lombardo Ettore Guatta, pubblicista, dimorava a Liegi in Belgio dove era studente di Ingegneria. Era anche uno sportsman. Si era arruolato in Italia nel 12° reggimento, ma nel 1914 era poi rientrato in Belgio per partecipare alla difesa di Liegi dopo la tragica invasione tedesca. Fu preso prigioniero nel Forte Loncin e designato per la fucilazione. Ma in extremis fu salvato ed espulso perché italiano e rispedito nel nostro Paese. Offrì ospitalità ed amicizia ai calciatori belgi venuti all’Arena di Milano e che giocarono un match divenuto famoso.
Il sesto è, infine, il napoletano Loreto Starace (nipote del futuro segretario del partito fascista Achille Starace) che morì al fronte a soli 31 anni e fu chiamato il “tenente santo”. Visse a lungo negli Stati Uniti: in California collaborò con i principali giornali americani dove pubblicò contributi in inglese e francese e fondò una Chiesa a Fort Wayne guadagnandosi le benemerenze del Cardinale Vescovo di Chicago.

Circa i luoghi di nascita tra le città capoluogo quella che ha offerto alla Patria il maggior numero di vite di giornalisti é stata Firenze con 14 caduti ciascuna. La città gigliata ha dato i natali a Giulio Barni, Giulio Bechi, Giuliano Bonacci, Cesare Borghi, Giovanni Canapa, Tomaso De Bacci Venuti, Attilio Franchi, Giuseppe Franquinet de Saint Remy, Federico Grifeo di Partanna, Luigi Lori, Paolo Michel, Giacomo Morpurgo, Ugo Tommei ed Eugenio Vajna de Pava. Seguono con 11 Napoli dove sono nati Vittorio Cotronei, Antonio D’Amelio, Felice De Masi, Maurizio de Vito Piscicelli, Carlo Fava, Mario Giampietro, Roberto Marciano, Fulcieri Paulucci de’ Calboli, Manlio Pintaura, Loreto Starace e Ruggiero Torelli, che precede Torino con 10 (Ernesto Elia Begey, Vladimiro Bono, Leopoldo Chinaglia, Paolo Henry, Eugenio Elia Levi, Luigi Mina, Achille Necco, Nino Oxilia, Gian Giacomo Porro e Benedetto Soldati). E nell’ordine con 8 caduti ciascuna Trieste (Guido Corsi, Enrico Elia, Renato Maionica, Scipio Slataper, Carlo Stuparich, Ruggero Timeus Fauro, Giacomo Venezian e Spiro Tipaldo Xydias) e Milano (Gualtiero Castellini, Giovanni Costanzi, Giovanni Interdonato, Eugenio Panzi, Giberto Porro Lambertenghi, Franco Scarioni, Aldo Vimercati, Giulio Zappa). Poi con 7 Livorno (Giosuè Borsi, Leonardo Cambini, Ratcliff Crudeli, Dino Fornaciari, Ercole Smaniotto, Umberto Umerini e Angiolo Versi) e Roma (Vittorio Cacciami, Livio Caetani di Sermoneta, Alberto Caroncini, Settimio Di Vico, Riccardo Fiorilli, Renato Giovannetti e Augusto Soldani), che precedono Bologna con 6 (Cesare Bonola, Giovanni Capri, Athos Casarini, Angelo Paglia, Emilio Savini e Carlo Vizzotto) e Venezia con 4 (Romeo Battistig, Antonio De Toni, Giulio Pitteri e Giovanni Talamini).  

Giornalisti Caduti iscritti al Sindacato

Ben 42 dei 267 giornalisti caduti, cioé oltre un sesto di essi, risultavano iscritti al Sindacato e precisamente: 9 all’Associazione Lombarda dei Giornalisti (Santino Alquati, Adriano Bacchi, Gualtiero Castellini, Giacomo Crollalanza, Franco Scarioni, Gaetano Serrani, Umberto Umerini, Mario Vimercati e Carlo Vizzotto), 8 all’Associazione Stampa Subalpina (Luigi Berta, che ne era il Segretario, Vladimiro Bono, Achille Destefanis, Achille Dogliotti, Paolo Henry, Nino Oxilia, Paolo Talice e Mario Tosini), 1 all’Associazione Ligure dei Giornalisti (Amilcare Mazzini), 3 al Sodalizio Friulano della Stampa (Giovanni Boccaccino, Pietro Geminiani e Paolino Gibelli), 2 all’Associazione Stampa Veneta (Gianni Cipolla e Piero Finotti), 1 all’Associazione Stampa Emiliana (Emilio Savini), 1 all’Associazione Stampa Pisana (Aspromonte Biagi), 2 all’Associazione Stampa Toscana (Giosué Borsi e Mario Fiorini), 2 all’Associazione Stampa di Macerata (Arturo Mugnoz e Eugenio Niccolai), 3 all’Associazione Stampa Romana (Vittorio Cacciami, Alberto Incisa di Camerana e Roberto Taverniti), 12 all’Associazione Stampa Periodica Italiana di Roma (Giuliano Bonacci, Giosué Borsi, Gualtiero Castellini, don Gino Daelli – socio anche della Stampa cattolica italiana – Luigi De Stasi, Mario Fiorini, Renato Giovannetti, Alberto Incisa di Camerana, Giuseppe Leonelli, Vezio Lucchesi, Vincenzo Picardi e Roberto Taverniti), 1 al Sindacato Corrispondenti di Roma (Ignazio Ferro), 1 al Gruppo Corrispondenti italiani di Parigi (Amilcare Mazzini), 4 all’Unione Giornalisti Napoletani (Vittorio Cotronei, Felice De Masi, Mario Giampietro e Manlio Pintaura) e 2 all’Associazione Stampa Siciliana (Salvatore De Rosa e Roberto Marciano, che ne era il Vice Segretario).

In quali Armi combatterono i giornalisti Caduti al fronte 

I giornalisti combattenti caduti, molti dei quali erano partiti volontari per il fronte, hanno affrontato il nemico da soldati, sottufficiali ed ufficiali, rappresentando tutte le varie Armi: 11 in Aeronautica come piloti ed osservatori e solo 1 in Marina, mentre tutti gli altri nell’esercito, come Fanti (compresi arditi ed esploratori), Alpini, Cavalleggeri e Lancieri, Bersaglieri, Artigliere a cavallo, Artiglieri di campagna, Artiglieri di montagna, Artiglieri di fortezza, Bombardieri, Granatieri, Mitraglieri, Genieri (zappatori, minatori, telegrafisti, lanciafiamme e aerostieri), Ufficiali postali, Ufficiali e Sottufficiali medici e Cappellani militari. Ed ancora altri 3 di reparto ignoto, 1 volontario garibaldino e 2 della Legione garibaldina nelle Argonne. Per la maggior parte erano comunque ufficiali: 2 Colonnelli, 1 Tenente colonnello, 4 Maggiori, 42 Capitani, 57 Tenenti, 108 Sottotenenti, 4 Aspiranti ufficiali, 2 Sergenti maggiori, 7 Sergenti e 9 Caporali.

La maggior parte dei 267 giornalisti sono morti al fronte in Italia attaccando il nemico, altri in trincea, in aereo o in ambulanze, in ospedaletti da campo o in ospedali militari. Ma anche cadendo da cavallo o restando vittima di malaugurati incidenti aerei o in depositi munizioni o durante esercitazioni. Uno solo di essi, Giuliano Bonacci del “Corriere della Sera”, figlio dell’ex ministro della Giustizia ed ex Vice Presidente della Camera, rimase, purtroppo, vittima del cd. “fuoco amico” il 16 luglio 1917 ai piedi dell’Hermada colpito per errore da uno shrapnel sparato dalla nostra artiglieria. La notizia restò, però, a lungo segreta.

clicca per  elenco giornalisti combattenti EROI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE CON I NOMI DELLE TESTATE PER LE QUALI HANNO LAVORATO O COLLABORATO E LE ONORIFICENZE MILITARI CONFERITE – ANCHE ALLA MEMORIA – PER LORO GESTA.

E’ la foto a colori (autore il giornalista Mario de Renzis ex consigliere nazionale dell’Ordine) della storica lapide in marmo su cui sono riportati i nomi di 83 giornalisti Caduti nella Grande Guerra con accanto le indicazioni del giornale per cui scrivevano e le onorificenze militari ricevute, che fu inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 in occasione del 19esimo anniversario dell’entrata in Guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale 1915-1918. Casualmente ritrovata a Roma nel 2011 in una cantina, la lapide è stata ricollocata il 27 novembre 2017 nella sede della Fondazione sul giornalismo “Paolo Murialdi” in via Valenziani 12/a – Roma a pochi metri dalla famosa “Breccia di Porta Pia”.

IN MEMORIA DEI GIORNALISTI MORTI PER LA PATRIA

                                                    1915-1918

ALIOTTI EUGENIO                         “La Sicilia”
ASTOLFONI ANGELO                    “La Gazzetta di Venezia”
BATTISTI CESARE                          “Il Popolo” – medaglia d’oro
BATTISTIG ROMEO                         “La Patria del Friuli”
BERNASCONI NINO                        “Cronaca Prealpina”
BERTA LUIGI
BIAGI ASPROMONTE
BIANCONI GASPARE                      “L’Ordine” Ancona
BOCCACCINO GIOVANNI             “Il Gazzettino”
BONACCI GIULIANO                     “Corriere della Sera”
BONO VLADIMIRO                        “Il Grido del Popolo”
BORELLA LUCIANO                     “La Libertà” Padova – Medaglia d’argento
BORGHI CESARE                           “La Nazione”
BORSI GIOSUE’                              “Il Nuovo Giornale” – Medaglia d’argento
CACCIAMI VITTORIO                   “La Sera”
CAGGIANO VITTORIO                 “Il Commercio”
CANTAGALLI DEL ROSSO          “Corr. di Livor” – Medaglia d’argento
CARAVAGLIOS NINO                    – Medaglia d’argento
CARONCINI ALBER                      “Resto del Carlino” – Medaglia d’argento
CARUSO ARTURO                         “L’Ordine” – Medaglia d’argento
CASOLI ALFREDO                         “Corriere della Sera”
CASSAN CARLO
CASTELLINI GUALTIERO            “Idea Nazionale”
CERVI ANNUNZIO                         “Don Marzio”
CIPOLLA GIOVANNI                     “Idea Nazionale” – Medaglia d’argento
COTRONEI VITTORIO                  “Il Mattino”
CROLLALANZA GIACOMO        “Il Secolo”
CRUDELI RACLIFF                       “Corriere di Livorno”
D’AGATA ETTORE                        “Giornale dell’Isola” – Medaglia di bronzo
D’ALFONSO PIETRO                    “Corriere di Livorno” – Medaglia d’argento
DEFFUNU ATTILIO                      “Popolo d’Italia”
DE MASI FELICE                          “Il Mattino”
DE PROSPERI LUIGI                    “Idea nazionale”
DE ROSA SALVATORE                “Giornale di Sicilia” – Medaglia d’argento
FAURO RUGGERO                       “Idea Nazionale” – Medaglia d’argento
FAVA CARLO                                “Roma”, Napoli
FERRO IGNAZIO                         “Giornale dell’Isola”
FIGLIOLA FELICE                       “La Terra Italia”
FINOTTI PIERO                           “Corriere del Polesine”
FIORILLI RICCARDO
FIORINI MARIO                          “Il Messaggero” – Medaglia d’argento
FORNACIARI DINO                   “Corriere di Livorno”
FRANCESCHI GARIB                “Corriere di Livorno” – Medaglia d’oro
GALLARDI CARLO                    “La Sesia” – Medaglia d’oro
GEMINIANI PIETRO                  “La Patria del Friuli”
GIAMPIETRO MARIO               “Don Marzio”
GIBELLI PAOLO                        “La Patria degli italiani”
GIOVANNETTI REN                  “La Vita”, Napoli
GRIFEO FEDERICO                   “Corriere di Livorno” – Medaglia d’oro
HENRY PAOLO                          “Agenzia Stefani”
LUCCHESI VEZIO                     “Corriere della Sera”
MARCIANO ROBER                 “L’Ora”, Palermo
MAZZINI AMILCARE               “La Stampa”
MORESCHI AUGUSTO            “Il Cittadino”
OXILIA NINO                            “Gazzetta di Torino” – Medaglia d’argento
PETRACCONE ENZO               “Il Giorno”, Napoli
PICARDI VINCENZO               “Rass. Contem” – Medaglia d’argento
PINTAURA MANLIO               “Roma”, Napoli
PITTERI GIULIO                      “Corriere del Mattino”
PORRY PASTOREL AMER.    “Messaggero”
ROTELLINI AMERIGO           “Il Fanfulla”
SAVINI EMILIO                       “L’Avven. d’Italia”
SCARIONI FRANCO               “Gazz. dello Sport”- Medaglia d’argento
SERRA RENATO                      “La Voce”
SERRANI GAETANO              “Il Popolo d’Italia”
SERRETTA SALVAT.               “L’Ora”, Palermo
SLATAPER SCIPIO                  “Resto del Carlino”- Medaglia d’argento
SOLDANI AUGUSTO             “Il Corriere di Catania”- Medaglia d’argento
SOLDATI PIETRO                  “Corriere del Polesine” – Medaglia d’argento
SPALLANZANI GIOV.           “Giorn. di Modena”
SPIRO XIDIAS                        “Idea Nazionale” – Medaglia d’oro
SVIGO (o SUIGO)FELICE     “Corriere della Sera”
TALAMINI GIOV.                   “Il Gazzettino”
TAVERNITI ROBERTO          “Terra Nostra”
TOSINI MARIO                      “Il Numero”
UMERINI UMBERTO            “Il Sole” – Medaglia d’argento
VERSI ANGELO                     “Corriere di Livorno” – Medaglia d’argento
VIDALI GIUSEPPE
VIMERCATI ALDO
VITTA ZELMAN EMIL.       “Idea Nazionale” – Medaglia di bronzo
VIZZOTTO CARLO              “La Lombardia”
TEVINI GEROLAMO           “Il Piccolo” Trieste
In fondo al centro:
RIDELLA CARLO                 “Prov. Pavese” – Medaglia d’argento

I 6 ERRORI E REFUSI RISCONTRATI SULLA LAPIDE INAUGURATA AL CIRCOLO DELLA STAMPA DI ROMA IL 24 MAGGIO 1934:

1) ALIOTTA (non ALIOTTI) EUGENIO

2) CANTAGALLI DEL ROSSO ETTORE – “Corriere di Livorno” – E’ un giornalista che non é, però, caduto nella Grande Guerra dove ha comunque combattuto eroicamente ottenendo 1 Medaglia di Bronzo (e non 1 Medaglia d’Argento) al valor militare e 1 Croce inglese. Ma é morto, invece, il 28 marzo 1927, combattendo in Cirenaica assieme ad altri 309 soldati del 7° Battaglione Libico, sterminati nella disastrosa battaglia di er-Raheiba dai Mujahideen guidati dall’anziano condottiero Omar al-Mukhtar (meglio noto come il “Leone del deserto”).

3) FIGLIOLIA (non FIGLIOLA) FELICE

4) SUIGO (non SVIGO) FELICE

5) TIMEUS FAURO RUGGERO (il nome esatto di questo irredento é Ruggero TIMEUS, ma era meglio conosciuto come Ruggero FAURO)

6) XYDIAS SPIRO TIPALDO (non SPIRO cognome e XIDIAS nome)

LE NUMEROSE MEDAGLIE MANCANTI O ERRONEAMENTE ATTRIBUITE SULLA LAPIDE IN MEMORIA DI 83 GIORNALISTI CADUTI NELLA GRANDE GUERRA:

1) ASTOLFONI ANGELO – Mancano 1 Medaglia di Bronzo al valor militare alla memoria e 1 Croce al merito di guerra

2) BERNASCONI NINO – Mancano 1 Medaglia d’Argento al valor militare e 1 Medaglia di Bronzo al valor militare

3) BERTA LUIGI – Manca 1 Medaglia di Bronzo al valor militare alla memoria

4) BONACCI GIULIANO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

5) BONO VLADIMIRO – Mancano 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria e 2 Medaglie di Bronzo al valor militare

6) CACCIAMI VITTORIO – Manca 1 Medaglia di Bronzo al valor militare alla memoria

7) CARAVAGLIOS NINO Non ha ottenuto la Medaglia d’argento al valor militare. Manca, però, 1 Croce al merito di Guerra

8) CASSAN CARLO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

9) CERVI NUNZIO – Mancano 1 Medaglia d’Argento al valor militare e 1 Medaglia di Bronzo al valor militare

10) CIPOLLA GIANNI – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

11) CROLLALANZA GIACOMO – Manca 1 Medaglia di Bronzo al valor militare

12) DEFFENU ATTILIO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

13) DE PROSPERI LUIGI – Mancano 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria e 1 Medaglia di Bronzo al valor militare ottenuta nel 1912 a Rodi

14) DE ROSA SALVATORE – Manca 1 Croce al merito di Guerra

15) FRANCESCHI GARIBALDI – Manca 1 Medaglia di Bronzo al valor militare

16) GEMINIANI PIETRO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

17) GIBELLI PAOLINO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

18) GIOVANNETTI RENATO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

19) GRIFEO DI PARTANNA FEDERICO – Manca 1 Medaglia di Bronzo al valor militare

20) LUCCHESI VEZIO – Manca 1 Medaglia di Bronzo al valor militare alla memoria

21) MAZZINI AMILCARE – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

22) PETRACCONE ENZO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

23) RIDELLA CARLO – Mancano 2 Medaglie di Bronzo al valor militare

24) ROTELLINI AMERIGO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

25) SAVINI EMILIO – Manca 1 Croce al merito di guerra

26) SCARIONI FRANCO – Manca 1 Medaglia di Bronzo al valor militare

27) SERRA RENATO – Manca 1 Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria

28) SERRETTA SALVATORE – Mancano 2 Medaglie di Bronzo al valor militare di cui una alla memoria                                                                                   

29) SOLDATI PIETRO – Non ha ottenuto la Medaglia d’argento al valor militare, ma é stato solo proposto per una medaglia

30) TAVERNITI ROBERTO – Mancano 2 Medaglie d’Argento al valor militare di cui una alla memoria

31) XYDIAS SPIRO TIPALDO – Manca 1 Medaglia di Bronzo al valor militare

 

E’ la foto storica di palazzo Marignoli (stabile quadrilatero tra via del Corso, via delle Convertite, piazza San Silvestro e via di San Claudio; siamo a pochi metri da Palazzo Chigi e piazza Colonna) scattata da Vasari nel 1895. In questo enorme palazzo aveva sede il Circolo della Stampa di Roma. Qui alle 12,30 del 24 maggio 1934, in occasione del 19esimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1° Conflitto mondiale 1915-1918, fu solennemente inaugurata da Benito Mussolini la lapide con i nomi di 83 giornalisti italiani Caduti nella Grande Guerra. Dopo complesse e faticose ricerche durate 7 anni il numero dei Caduti è triplicato passando a ben 267. Questa lapide finì poi nella cantina di uno stabile di proprietà INPGI nella capitale dove é stata casualmente ritrovata nel maggio 2011. Sul lato di questo enorme palazzo tra via delle Convertite e via del Corso era ubicato il celebre Caffé Aragno, punto di incontro dei giovani interventisti e nazionalisti italiani nel 1914-1915 prima dell’inizio delle ostilità.

             

Ecco le 2 foto a colori scattate dal giornalista Mario De Renzis, ex consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, che le ha gentilmente messe a disposizione della categoria. Riprendono Palazzo Marignoli (imponente edificio quadrilatero di 22 mila 200 metri quadrati di particolare pregio, costruito tra il 1878 e il 1883 dall’architetto Salvatore Bianchi nel cuore della capitale tra via del Corso/via delle Convertite/piazza San Silvestro/Via di San Claudio per conto del marchese Filippo Marignoli, deputato e senatore), come si presenta oggi, e la lapide in travertino e marmo inciso, collocata nel 1928 ( l’attribuzione della datazione della lapide si ricava a pag. 127 del volume La Memoria perduta, I monumenti ai caduti della Grande Guerra a Roma e nel Lazio, a cura di Vittorio Vidotto) sul lato di via delle Convertite 23, a pochi metri da via del Corso. Vi sono riportati i nomi di 24 Caduti della Grande Guerra – con l’indicazione dei gradi militari – tra i quali 15 giornalisti Eroi (Giuliano Bonacci, Giosuè Borsi, Ernesto Butta, Arnaldo Cantù, Alberto Caroncini, Guido Corsi, Luigi De Prosperi, Ignazio Ferro, Mario Fiorini, Gino Laganà, Giannetto Masala, Vincenzo Picardi, Scipio Slataper, Ruggero Timeus Fauro e Spiro Tipaldo Xidias). Erano tutti giovani nazionalisti interventisti, provenienti da ogni parte d’Italia, che si incontravano periodicamente nella capitale nella “Saletta” del celebre Caffé Aragno nel 1914-1915 prima dell’inizio delle ostilità. Nello stesso palazzo nel 1914-1915 aveva sede anche il Circolo della Stampa dell’A.S.P.I. (poi confluita nell’Associazione Stampa Romana). Proprio a palazzo Marignoli alle 12,30 del 24 maggio 1934, in occasione del 19esimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1° Conflitto mondiale 1915-1918, fu solennemente inaugurata da Benito Mussolini la lapide con i nomi di 83 giornalisti italiani Caduti nella Grande Guerra. Dopo complesse e faticose ricerche durate 7 anni il loro numero è triplicato passando a ben 267. Questa lapide finì poi nella cantina di uno stabile di proprietà INPGI nella capitale dove é stata casualmente ritrovata nel maggio 2011 e poi ricollocata nel 2017 nella sede della Fondazione sul giornalismo “Paolo Murialdi”.

La Saletta del Caffé Aragno. Ricordato come Caffé Nazionale nel 1882, l’Aragno fu fondato da un pasticciere di Torino venuto a Roma al seguito di re Umberto I di Savoia. Il Caffè Aragno con ingresso al civico 180 di via del Corso, angolo via delle Convertite 23 (all’interno di palazzo Marignoli) è stato uno dei più celebri ritrovi d’Italia e il centro della vita elegante romana a tal punto che era stato coniato il motto che “anche chi non ha veduto la Cappella Sistina ha veduto ed è stato all’Aragno”. Immortalato da Matilde Serao ne “La conquista di Roma” del 1885, è stato anche ”cuore di Roma” secondo Emile Zola, nonché teatro del clamoroso schiaffo che portò al duello alla sciabola tra Massimo Bontempelli e Ungaretti nel 1926. Sopravvissuto alla bomba esplosa nel 1906, nella sua terza “Saletta” si riunivano uomini politici, letterati e di artisti.

Nel 1912 un gruppo di giornalisti suoi assidui frequentatori pubblicarono “La saletta d’Aragno”, un foglio incentrato su poesie e poesiole satiriche sul conto degli habituées del Caffè. Del giornale uscirono, però, solo tre numeri. Prima della Grande Guerra la “Saletta” fu il luogo preferito dei nazionalisti e dei futuristi (ospite fisso proprio Filippo Tommaso Marinetti, fondatore di questo movimento considerato la prima avanguardia storica italiana del Novecento) e fu definito “nido irrequieto di giovinezza e sogni di gloria”. Dopo la guerra nelle sue sale si continuava a discutere e si creava ‘La Ronda’, rivista pubblicata tra il 1919 e il 1923.

Vincenzo Cardarelli, una delle sue penne di spicco, ricordava che la Saletta dell’Aragno “non era un Caffè, ma un foro, una basilica, un porto di mare dove, per entrarvi ci voleva del coraggio e una gran voglia di farsi avanti” e “vi si entrava sovversivi e se ne usciva conservatori arrabbiati e nazionalisti, dannunziani e colonialisti”. Si racconta anche che Oscar Wilde, in visita nella capitale, un giorno stava assaporando una granita al caffè quando passò il re in carrozza e commentò con la sua dissacrante ironia: “Io immediatamente mi sono alzato e gli ho rivolto un profondo inchino, col cappello in mano, ma fu solo dopo il passaggio del Re che ricordai di essere papista e nerissimo…”.

Nel 1923 la “Terza Saletta” fu del tutto rinnovata, come scrive “La Stampa” del 6 ottobre 1923 a pagina 3, mentre nel 1924 Adone Nosari pubblicò un delizioso saggio, oggi quasi introvabile, “La saletta del Caffè Aragno”, in “Almanacco di Roma”, Spoleto, 1924. Celebre è un dipinto del 1930 di Amerigo Bartoli dal titolo Gli amici al caffè (vincitore del premio della Biennale di Venezia) esposto a Roma nella Galleria d’arte moderna e contemporanea. Rappresenta, appunto, i frequentatori del Caffè Aragno: Emilio Cecchi, Vincenzo Cardarelli, Carlo Socrate, Ardengo Soffici, Antonio Baldini, Pasqualina Spadini, Giuseppe Ungaretti, Mario Broglio, Armando Ferri, Quirino Ruggeri, Roberto Longhi, Riccardo Francalancia, Aurelio Saffi, Bruno Barilli, oltre al ritratto dello stesso pittore Bartoli.

Sulla storica lapide, apposta nel 1928 in via delle Convertite e che riveste una particolare importanza storica per la nostra categoria, si legge testualmente:

“Prima di essere assunti

nel cielo immortale della patria

onusti ancora delle armi

che difesero confini sacri

e conquistarono più ampi diritti

entro la “saletta d’Aragno”

nido irrequieto di giovinezza

e di sogni di gloria

convennero a vigilia

questi ventiquattro soldati d’Italia:

medaglie d’oro

Guido Brunner s. ten.te di cavalleria

Guido Corsi cap. degli alpini

Spiro Tipaldo Xidias s. ten.te di fanteria

Bruno Benucci sol.to del genio zappatori

Giuliano Bonacci cap.no di fanteria

Giosuè Borsi ten. te di fanteria

Ernesto Butta ten. legionario garibaldino

Arnaldo Cantù cap.no di fanteria

Alberto Caroncini s. ten.te di fanteria

Giuseppe Ciuffelli ten.te aviatore

Gino Costantini s. ten.te di fanteria

Luigi De Prosperi cap.no di fanteria

Ignazio Ferro s. ten.te di fanteria

Mario Fiorini s. ten.te di fanteria

Camillo Giulia s. ten.te di fanteria

Gino Laganà s. ten.te di fanteria

Giannetto Masala ten.te mitragliere

Vincenzo Picardi s. ten.te di artiglieria

Giorgio Reiss Romoli ten.te medico

Ludovico Rospigliosi ten.te cavalleria

Scipio Slataper s. ten.te dei granatieri

Claudio Suvich sol.to di fanteria

Ruggero Timeus Fauro s. ten.te degli alpini

Guido Zanetti s. ten.te dei granatieri”.

Dal raffronto delle due lapidi, quella collocata nel 1928 e l’altra nel 1934, emergono inattese sorprese. La più rilevante è che la lapide del 1934 ha, stranamente, in gran parte ignorato l’esistenza della lapide del 1928 che si trovava esposta al pubblico proprio sul lato destro dello stesso edificio ad appena 50 metri di distanza! Sulla lapide inaugurata da Mussolini sono infatti riportati 10 dei 24 nomi di caduti che figuravano anche in quella del 1928 e precisamente: Giuliano Bonacci, Giosué Borsi, Alberto Caroncini, Luigi De Prosperi, Ignazio Ferro, Mario Fiorini, Vincenzo Picardi, Scipio Slataper, Ruggero Timeus Fauro (questi è, però, indicato solo come Ruggero Fauro nella lapide del 1934, ndr) e Spiro Xydias (e non Xidias). Tra questi vi erano tre irredenti triestini: Scipio Slataper (che aveva Sandri come suo cognome da battaglia), Xidias e Timeus. Si ricorda in proposito che i cognomi di battaglia con i quali l’esercito italiano arruolava i volontari irredenti erano fittizi proprio a loro tutela perché, sotto il profilo giuridico, erano sudditi dell’impero asburgico e se presi prigionieri rischiavano l’immediata fucilazione per diserzione. Solo il sindaco del paese conosceva la loro vera identità), Ruggero Timeus Fauro (che aveva, appunto, Fauro come cognome da battaglia e anche d’arte) e Spiro Xydias.

Viceversa, nella lapide del 1934 mancano 5 giornalisti indicati, invece, nella lapide posta all’esterno del Caffè Aragno, e precisamente: i sardi Ernesto Butta (di cui si è già detto prima) e Giannetto Masala, l’irredento triestino Guido Corsi (che aveva Colombo come cognome da battaglia), il lombardo Arnaldo Cantù e il laziale Guido Laganà. Giannetto Masala era annoverato tra gli ospiti più tumultuosi della Terza Saletta del Caffé Aragno a Roma. I suoi amici nazionalisti del Caffé raccontarono che un giorno scomparve. Tornò qualche mese dopo lacero come uno zingaro. Veniva dalla Grecia dove aveva combattuto contro i turchi. Difatti, nell’inverno del 1912, in piena guerra balcanica, partì da Roma come volontario garibaldino per seguire in Grecia Ricciotti Garibaldi. Dopo la sua morte al fronte della Grande Guerra, Clelia Garibaldi, figlia primogenita dell’Eroe dei Due Mondi, affrontò un lungo viaggio in carrozza da Caprera a Sorso per rendere omaggio alla madre, rimasta vedova. Un suo ritratto in bronzo del 1930 é conservato nella Biblioteca comunale di Sorso. Gli sono state intitolate strade a Sassari e a Sorso. A Tarvisio (Udine) vi é un rifugio intitolato alla memoria di Guido Corsi. Sorge in una bella posizione su un terrazzo erboso, al centro di un anfiteatro coronato dalle pareti meridionali del Jôf Fuart, Madri dei Camosci e Cima di Riofreddo. Per quanto riguarda Guido Laganà, la sua giovane moglie, la ventitreenne Clelia Pojero, cadde in una profonda depressione e non resistendo al dolore si avvelenò a Napoli appena 40 giorni dopo con una fialetta di sublimato. Il suo gesto d’amore commosse l’Italia.

         

 

A poco più di un mese di distanza dalla fine della Prima Guerra Mondiale, nella sede del quotidiano interventista toscano, “Il Corriere di Livorno” (giornale che da anni non è più in edicola, ndr) fu apposta un’epigrafe in memoria dei suoi dipendenti caduti al fronte. Vi si leggeva: “Per i nostri prodi. Sulla parete dell’edificio, sede dei nostri uffici, prospiciente gli Scali Manzoni, è stata murata una lapide che reca la seguente epigrafe: “La famiglia del Corriere di Livorno che fra i primi giornali della Patria propugnò l’intervento contro la brutale aggressione dei nemici dell’umanità e che offrì 22 militi all’Esercito combattente volle qui ricordati i suoi Prodi che pugnarono e caddero nel Santo nome d’Italia:
Redattore Garibaldi Franceschi, decorato con medaglia d’oro,
Redattore Pietro D’Alfonso, decorato con medaglia d’argento,
Proto Rosolino Barzotti,
Tipografo Corrado Cioni,
Tipografo Corrado Benedetti”.
                 
La notizia fu riportata in apertura del “Corriere cittadino” sul numero di domenica 15 dicembre 1918.
Ebbene sia Garibaldi Franceschi, sia Pietro D’Alfonso figurano entrambi anche sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini il 24 maggio 1934 nel Circolo della Stampa di Roma e quella ricollocata a Livorno in data imprecisata dopo i bombardamenti che colpirono la città labronica nella Seconda Guerra Mondiale a ricordo dei giornalisti e tipografi combattenti del “Corriere di Livorno” caduti nella Grande Guerra. Fu così sostituita quella originaria collocata nel dicembre 1918 prima citata.
L’eroica morte a Castagnevizza del ventenne modenese Garibaldi Franceschi, giornalista del “Corriere di Livorno”, decorato con la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, venne immortalata da Achille Beltrame sulla Domenica del Corriere del 23 settembre 1917, poi riprodotta sulla copertina del libro “Martiri di carta: i giornalisti caduti nella Grande Guerra).
La lapide è tuttora esposta nelle vicinanze del porto, ed esattamente in piazza Manin 1 agli Scali Manzoni, a circa 3 metri d’altezza sulla facciata di uno stabile di 2 piani ricostruito nel luogo dove aveva sede la gloriosa testata toscana.
Vi si legge: “La famiglia del Corriere di Livorno che fra i primi giornali della Patria propugnò l’intervento contro la brutale aggressione dei nemici dell’umanità e che offrì 22 militi all’Esercito combattente volle qui ricordati i suoi Prodi che pugnarono e caddero nel Santo nome d’Italia:
Redattore Garibaldi Franceschi, decorato con medaglia d’oro
Redattore Pietro D’Alfonso, decorato con medaglia d’argento
Proto Rosolino Barzotti
Tipografo Corrado Cioni
Tipografo Corrado Benedetti
Redattore Ratcliff Crudeli
Ten. Federico Grifeo di Partanna, medaglia d’oro
Ten. Angiolo Versi, medaglia d’argento
Ten. Ettore Cantagalli Del Rosso, medaglia d’argento, croce inglese”.
Rispetto alla prima lapide riportata sul giornale labronico del 15 dicembre 1918 su quella esposta oggi in piazza Manin a Livorno risultano quindi aggiunti i nomi di altri 6 giornalisti, di cui 4 aggiunti solo in epoca successiva, e precisamente:
“- Redattore Ratcliff Crudeli
– Ten. Federico Grifeo di Partanna, medaglia d’oro
– Ten. Angiolo Versi, medaglia d’argento
– Ten. Ettore Cantagalli Del Rosso, medaglia d’argento – Croce inglese”.
E’ stato così possibile completare i dati relativi ai giornalisti del “Corriere di Livorno” morti nella Prima Guerra Mondiale.
Infatti sulla lapide casualmente ritrovata nello scantinato di Roma con i nomi degli 83 (poi diventati 267) giornalisti eroi mancavano proprio il nome di battesimo, Ettore, del giornalista Cantagalli Del Rosso con l’aggiunta dell’onorificenza della Croce inglese e il patronimico “di Partanna” al conte Federico Grifeo. Sulla lapide di Livorno è, tuttavia, indicata in aggiunta per Cantagalli Del Rosso anche l’onorificenza della Croce inglese e su entrambe le lapidi di Roma e Livorno é, infine, indicata per errore l’onorificenza italiana della medaglia d’argento, anziché di quella di bronzo, conferita a Cantagalli Del Rosso.
A sua volta, però la lapide inaugurata da Mussolini nel 1934 a Roma é altrettanto importante perché vi é anche riportato il nome del giornalista Dino Fornaciari (anch’egli morto nella prima guerra mondiale) che manca invece su quella di Livorno.
Infine, in entrambe le lapidi manca anche il nome di un altro giornalista del “Corriere di Livorno”, Alfredo Righini, nativo di Castellammare di Stabia e decorato di medaglia d’argento concessagli Motu proprio dal re.
Incredibile é stata la sorte toccata al modenese Garibaldi Franceschi e a Ratcliff Crudeli. Quest’ultimo era nato a Livorno appena 5 giorni dopo Franceschi. Ebbene i due colleghi di lavoro sono entrambi morti ad appena 19 anni al fronte a Castagnevizza il 23 maggio 1917, nello stesso luogo e nello stesso giorno, a poche ore e a pochi metri di distanza. Il corpo di Crudeli, però, non fu più trovato.
Infine, grazie a complesse ed approfondite ricerche del Ministero della Difesa, si é scoperto che Ettore Cantagalli Del Rosso, nato il 30 agosto 1897 a San Miniato (provincia di Firenze, poi dal 1918 provincia di Pisa), fu effettivamente anche un eroe della Grande Guerra dove fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare e con la Croce inglese per aver salvato un ufficiale pilota alleato, abbattuto con il suo aereo sul Piave, attraversando per ben 4 volte le acque gelide del fiume pochi giorni prima della conclusione delle ostilità. Morì, però, solo 9 anni dopo durante il fascismo nella guerra di riconquista coloniale della Cirenaica. Cadde, infatti, in combattimento quando non aveva ancora compiuto 30 anni nella disastrosa battaglia di Er-Raheiba in Cirenaica del 28 marzo 1927 assieme ad altri 309 soldati dei 756 che componevano il 7° battaglione Libico”. Furono trucidati dai Mujahideen guidati dall’anziano condottiero dei “Briganti Libici”, il religioso e guerrigliero Omar al-Mukhtar (“il leone del deserto”) che guidò la resistenza anticoloniale contro gli italiani ed è considerato in Libia un eroe nazionale.

 

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