Il 28 maggio 1980 un commando di ragazzi aspiranti brigatisti uccisero a Milano Walter Tobagi, presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti e firma di punta del Corriere della Sera. Aveva 33 anni. Come ogni anno la memoria del cronista scomparso verrà omaggiata davanti alla targa che gli è dedicata sul luogo dell’agguato, e al cimitero di Cerro Maggiore, dove è sepolto.

Marco Volpati, consigliere dell’Ordine nazionale dei giornalisti, ricorda così quei terribili giorni e l’amico e collega Walter Tobagi:

“Gli avvenimenti interni e internazionali ci dicono che il mestiere di giornalista rimane scomodo e anche pericoloso. Ci sono le guerre di questi inimmaginabili anni ’20, ma anche azioni non cruente e tuttavia intimidatorie. Oggi è arduo ripensare in quale clima si vivesse in Italia nell’epoca che è conosciuta come gli Anni di Piombo, quando lo scontro politico-ideologico era esploso; e vittime designate di organizzazioni armate erano forze di polizia, magistrati, docenti, dirigenti industriali, e con loro anche giornalisti.

Sono passati 44 anni dall’assassinio di Walter Tobagi. Aveva 33 anni, era inviato del Corriere della Sera esperto in politica, società, inchieste giudiziarie; e contemporaneamente presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti. Sembra impossibile che riuscisse a svolgere tutti i suoi compiti, compresa la scrittura di saggi di storia, lezioni all’università e anche incontri in parrocchia con i giovani.

La sua convinzione era che il giornalista dovesse dare il massimo non solo per sé, per il proprio lavoro, ma anche aiutare, difendere, indirizzare gli altri. Professionista e cittadino insieme. Si era occupato di terrorismo, di Brigate Rosse: con il metodo dello storico approfondiva le conoscenze, studiava da vicino le situazioni, parlava con tutti per capire gli avvenimenti. Non aveva esitato a presentarsi, armato solo della penna e del suo sorriso pacato, in sedi semiclandestine dove abbondavano le armi e fiorivano le contiguità con i terroristi.

La mattina del 28 maggio 1980, a Milano in via Salaino, sotto casa sua, un commando di ragazzi aspiranti brigatisti lo attese e lo freddò a revolverate. Uno di quei terribili volantini di “rivendicazione” lo indicava come “terrorista di stato”. La sua colpa era solo di non rinunciare al lavoro che svolgeva senza pregiudizi e senza invettive. C’erano stati segnali di pericolo, ma Walter era convinto di non poter tradire il mestiere e il dovere di informare.

I suoi articoli sono adesso testi di studio per futuri giornalisti. Esempi efficaci di come acquisire notizie, andando alle fonti, tra la gente; ascoltando tutte le voci possibili. Anche nell’epoca del web e dei social si può agire con il suo metodo, la sua etica della professione. È duro, ma soltanto così il giornalismo è un valore.”

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