“La soddisfazione per l’ammissione dell’Ordine dei giornalisti come parte dinanzi alla Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità sulla pena del carcere ai giornalisti, viene temperata dalla considerazione che ciò accade in un momento in cui la politica ha una ragione  valida per essere distratta.
E’ imperdonabile che nelle dichiarazioni si proclami l’importanza della libertà di stampa, mentre l’idea di una nuova adeguata legislazione per il giornalismo sia sempre valutata non prioritaria.
Anche sul carcere ai giornalisti per diffamazione il giudice delle leggi potrebbe sostituirsi al Parlamento. Non sarebbe una bella immagine. E’ auspicabile uno scatto d’orgoglio. Da mesi, per esempio, attendiamo che sia  dato il via libera al Senato al disegno di legge promosso da Primo Di Nicola contro le iniziative giudiziali temerarie, che è nell’interesse del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. E sia chiaro che nessuno nella categoria teorizza il diritto all’insulto, anzi crediamo che chi sbaglia debba pagare, anche a tutela di chi fa bene il proprio lavoro. Ma querelare o citare a giudizio per intimidire  è contro la libertà di stampa e l’articolo 21 della Costituzione.”

Lo afferma il presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna

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Carcere per giornalisti, Ordine ammesso a giudizio Consulta Il 21 aprile la causa sulla legittimità delle norme su diffamazione 

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti  potrà intervenire nel giudizio costituzionale sulla legittimità delle norme in materia di diffamazione a mezzo stampa, che puniscono con il carcere il giornalista e il direttore responsabile. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con l’ordinanza n.37 depositata oggi (relatore Francesco Vigano’) dichiarando ammissibile la richiesta di intervento dell’Ordine nel giudizio di costituzionalità sulle norme che puniscono con il carcere il reato di diffamazione a mezzo stampa. La causa sarà discussa in udienza pubblica il prossimo 21 Aprile 2020.

L’ordinanza ribadisce che, in base alle norme integrative sui giudizi davanti alla Corte, l’intervento del terzo deve essere giustificato da “un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio”. Tale interesse non e’ di per se’ insito nella posizione di rappresentanza istituzionale della professione giornalistica, rivestita dal CNOG. A legittimare l’intervento del CNOG è la sua competenza a decidere sui ricorsi in materia disciplinare. La legge stabilisce infatti che le condanne penali che comportano interdizione dai pubblici uffici determinano automaticamente la cancellazione o la sospensione del giornalista dall’albo, mentre in ogni altro caso di condanna penale è  previsto che il CNOG inizi l’azione disciplinare qualora il fatto offenda il decoro e la dignità professionali ovvero comprometta la reputazione del giornalista o la dignità dell’Ordine. Pertanto, da un’eventuale condanna penale del giornalista e del direttore responsabile imputati nel procedimento da cui e’ nata la questione di costituzionalità deriverebbero specifiche conseguenze in ordine all’avvio dell’azione disciplinare, riguardanti la sfera dei poteri del CNOG e aventi ad oggetto, “in modo diretto e immediato”, lo specifico rapporto giuridico sostanziale dedotto in quel giudizio (la pretesa punitiva statale nei confronti degli imputati). (ANSA)

 

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