Autore: Marie Colvin
Editore: Bompiani (2021), pag. 784, Euro 24,00
Per Marie Colvin, tra le più straordinarie giornaliste della sua generazione, scrivere dal fronte era non solo la professione, ma la vita stessa, guidata dalla regola di “non avere paura di avere paura”.
Nell’arco di pochi giorni, Marie Colvin poteva essere a Los Angeles, per poi correre in Cecenia, a rischiare fra le montagne. Caduta sul campo a Homs, nel 2012 (era nata a Oyster Bay-Usa, nel 1956), ha lasciato articoli e reportage importanti, raccolti per la prima volta in questa antologia, che ripercorre tutte le tappe di una vita, trascorsa sui grandi teatri di guerra. Dalla lettura di queste pagine, emerge l’ansia di raccontare l’orrore delle guerre, l’adrenalina che nasce dalla voglia di mettersi in gioco, la sfida dalle forti emozioni e la passione per la verità.
Per Marie Colvin “testimoniare” era alla base del suo lavoro: “Non sono mai stata interessata a sapere quali modelli di aerei avessero appena bombardato un villaggio o se l’artiglieria che aprì il fuoco su di esso fosse un 120mm o un 155mm”. Cominciò la carriera a New York, come reporter per UPI (United Press International), dopo essersi laureata a Yale, per diventare poi capo del bureau di Parigi dell’UPI, nel 1984. Passata, nel 1985, al “Sunday Times”, fu corrispondente del giornale in Medio Oriente, dal 1986 (nello stesso anno riuscì a intervistare Gheddafi). Fu corrispondete nei conflitti in Cecenia, Kosovo, Sierra Leone, Zimbabwe e Timor Est. In Sri Lanka, nel 2001, le schegge di una granata avevano colpito il suo occhio sinistro.
Nel 1999, le fu attribuito il merito di aver salvato le vite di centinaia di donne e bambini da una zona assediata di Timor Est. Ha vinto il premio “International Women’s Media Foundation”, per il coraggio dimostrato nella “copertura” dei conflitti in Kosovo e in Cecenia.
“A Private War” è un film del 2018 (diretto da Matthew Heinaman) sulla vita di Marie Colvin, interpretato dall’attrice Rosamunde Pike.