GIUSTIZIA PENALE E INFORMAZIONE: IL MODELLO UMBRO

Dipartimento di Giurisprudenza – Aula III  lunedì 6  giugno 2022 ore 15

Pubblichiamo l’intervento del Presidente dell’Ordine Nazionale dei giornalisti Carlo Bartoli, dal titolo “La presunzione di innocenza nell’ecosistema dell’informazione digitale”

Un ringraziamento all’Università di Perugia, al Dipartimento di Giurisprudenza, all’Ordine degli avvocati di Perugia e al nostro Ordine regionale dei giornalisti che ci hanno invitato a riflettere su un tema delicatissimo e decisivo per la nostra società riguardante l’equilibrio e il bilanciamento tra diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. Principi che traggono il loro fondamento in Carte e Dichiarazioni internazionali e che trovano applicazione anche nel Testo unico della deontologia dei giornalisti.

Permettetemi di iniziare con una citazione chiarificatrice: “La presunzione di innocenza deve essere una nostra rivendicazione perché noi non abbiamo mai pensato che il giornalismo sia un’attività che non ha limiti e che non ha confini, ma deve essere rispettosa dei bilanciamenti che la Costituzione ci impone di effettuare. Bilanciamento con altri diritti costituzionali che non possiamo in nessun modo dimenticare. Dobbiamo inoltre ricordare che talvolta noi stessi siamo i nostri peggiori nemici, perché anche nel raccontare eventi che sono accaduti recentemente abbiamo dimostrano che possiamo farci del male andando oltre quello che è l’interesse pubblico, andando oltre quella che è la continenza dell’esposizione, andando oltre quelli che sono i dettami della nostra professione mettendo a nudo dati, vicende, volti, oggettivamente in carenza di motivazioni di interesse pubblico”.

Questo un passaggio delle mie conclusioni al dibattito svoltosi al Cnog il 5 aprile scorso. Conclusioni iniziate ricordando che il dl 188/2021 è una legge dello Stato approvata dal Parlamento, norma che dobbiamo rispettare, anche se possiamo esprimere delle critiche, e che la norma è stata ribattezzata in maniera del tutto impropria come decreto Cartabia, utilizzando arbitrariamente il nome della Ministra che è personalità di altissimo profilo.

Fatte queste premesse aggiungo che noi abbiamo il dovere di assumere tutte le iniziative possibili per chiedere non solo e non tanto una riformulazione, delle norme, ma chiedere – nell’interesse non dei giornalisti, ma dei cittadini – una applicazione delle norme consapevole delle criticità e soprattutto equilibrata. Per questo ci siamo permessi di sollevare almeno due problemi di fondo che riguardano, in primo luogo la corrispondenza effettiva tra l’obiettivo della legge e gli strumenti adottati; in secondo luogo abbiamo sollevato il problema della difforme e spesso della distorta applicazione di queste norme.

Cercherò per questo di condensare i principali punti critici adottando un’ottica empirica, forse desueta nel dibattito giurisprudenziale, ma molto utile sotto il profilo pratico. I criteri fondamentali da evidenziare sono cinque, dopo di che cercherò di spiegare la fragilità estrema di una norma rispetto al nostro tempo. I criteri che vogliamo porre sul tavolo sono la tempestività, la completezza, la professionalità, l’omogeneità, la veridicità.

Tempestività. IL dl 188 ci sembra schiacciato sulle preoccupazioni riguardanti quanto accade nella fase delle indagini. Quando parliamo di comunicati stampa o di conferenze stampa ci riferiamo ad atti d’indagine, ma così si rischia di imbalsamare e paralizzare la cronaca di eventi di grande rilevanza. Un terremoto, l’esplosione di gas che fa crollare un palazzo, un’alluvione, il deragliamento di un treno. Ecco, c’è qualcuno che pensa veramente che eventi di questo genere possano essere gestiti con comunicati stampa o conferenze stampa convocate dal Procuratore della Repubblica? Che il comandante dei vigili del fuoco, dei carabinieri, oppure la Protezione civile non possano rilasciare dichiarazioni davanti alle telecamere accorse sul posto, ai cronisti presenti sul fatto? E che il sostituto di turno, giunto sul luogo della tragedia, possa rimandare la diffusione di qualunque notizia alla conferenza stampa o al comunicato del Procuratore della Repubblica? Chiaramente è inimmaginabile. Occorre un’interpretazione che equipari la dichiarazione del Magistrato o delle forze di polizia sul posto a un comunicato stampa o a una conferenza stampa. Occorre dunque sciogliere alcuni lacci che sono nodi scorsoi.

Completezza. Sappiamo bene quali sono i criteri in base al quale gli atti di indagine non sono più coperti da segreto investigativo. Ebbene, questi atti spesso vengono passati ai cronisti, ma interroghiamoci su come ciò avviene. Chi diffonde questi atti lo fa per consentire alla pubblica opinione di essere informata di fatti rilevanti, ma anche perché ha interesse a far prevalere nell’opinione pubblica la propria interpretazione degli eventi. Stiamo parlando dei pm e degli avvocati. Ma così c’è costantemente il rischio concreto di avere una visione parziale, distorta, di parte di queste vicende. Per questo chiediamo che gli atti che sono diventati conoscibili vengano messi a disposizione dei giornalisti. In questo modo si dà una rappresentazione completa delle indagini e in secondo luogo si evita lo scandalo del mercimonio degli atti. Così si tutela e si incoraggia la terzietà del giornalista.
La completezza dei dati ha anche un altro risvolto: privare di dettagli una notizia di pubblico interesse, se non ci sono altre necessità prevalenti che obbligano soprattutto a tutelare la vittima dei reati, ha l’effetto di gettare un’ombra di discredito su categorie di cittadini, di professioni, di attività. La sa bene chi ha messo piede almeno per un’ora in una redazione. Per esemplificare: la diffusione di una generica notizia dell’ispezione dei Nas in un ristorante e la conseguente chiusura dell’esercizio, determina immediatamente la sacrosanta rivolta dei ristoratori di un quartiere o di una città. Ne danneggi mille per proteggerne uno.

Professionalità. Se il Parlamento vuole seriamente assicurare una linearità e omogeneità nell’esposizione delle vicende giudiziarie senza bloccare le notizie di cronaca giudiziaria o distogliere i Procuratori dalla loro attività istituzionale, in ogni Procura deve essere creato immediatamente un ufficio stampa composto da giornalisti esperti, competenti, credibili. Tutto ciò adesso e ovunque. Senza eccezioni e senza scuse di bilancio. Se ciò non accade, il Re si denuda in pubblico e dimostra, ma non vogliamo crederlo, che l’obiettivo era ben diverso da quello che viene proclamato, con l’unico effetto di bloccare o rendere difficoltosa qualsiasi informazione sulle indagini della magistratura e sottrarre ai cittadini il controllo e la verifica dell’azione giudiziaria. In ogni Procura i comunicati stampa vanno fatti quotidianamente e in maniera professionale, se si vuol evitare di fornire ai cittadini l’impressione che la Giustizia si sia concessa un lungo periodo sabbatico

Omogeneità. Occorre che si ponga immediatamente fine alla disparità di trattamenti tra Procura e Procura: in questi pochi mesi abbiamo visto cose, francamente, imbarazzanti, con Procuratori che danno indicazioni assolutamente difformi, con forze dell’ordine silenziate che non confermano neppure la palmare evidenza. Tutto questo non è ammissibile, non è accettabile. Se in passato si erano registrate sbavature, eccessi di protagonismo e errori non ci rassicura l’instaurazione di un regime opposto. In questo contesto che ci preoccupa in quanto giornalisti, ma soprattutto in quanto cittadini, occorre citare alcune iniziative molto importanti. Mi riferisco alle linee guida proposte dal Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, che ha cercato di fornire una linea comune, a partire da un concetto base fondamentale: “le Procure hanno il dovere di informare”. Il Pg della Cassazione ricorda inoltre che le ordinanze di custodia cautelare si possono fornire ai giornalisti. E poi come non ricordare, grazie anche alla competenza e all’attivismo del presidente Mino Lorusso che ringrazio, la felice esperienza umbra, con la positiva interlocuzione con il Pg Sergio Sottani e le decisioni assunte dal Procuratore di Perugia Raffaele Cantone. Così come, peraltro, il dialogo avviato con il Pg di Roma Antonio Mura.

Veridicità. Ho lasciato per ultima questa preoccupazione perché questo elemento ci permette di traghettarci nel presente e stringere la presa sul titolo della mia relazione: “La presunzione di innocenza nell’ecosistema dell’informazione digitale”. Ma andiamo con ordine: l’essenza ultima del giornalismo è l’attività di reporting e la verifica delle notizie. Senza possibilità di verifica aumenteranno gli errori, le imprecisioni. Nella cronaca giudiziaria una telefonata serve al giornalista a correggere un’informazione imprecisa, distorta, incompleta. Serve a evitare errori che rappresentano un problema per i cittadini, un danno per le persone coinvolte, un guaio per il giornalista stesso. Impedire la verifica delle notizie che un cronista acquisisce autonomamente è un errore disastroso. E punire chi potrebbe farlo rappresenta una beffa.

La gogna digitale. Ma proviamo a fare un salto nel presente. Un presente fatto di reti sociali, di siti internet la cui identità può essere schermata con facili espedienti, di canali di trasmissione di notizie impossibili a controllare in maniera metodica, a cominciare dai servizi di messaggistica. Per non parlare del mondo del cosiddetto dark web. Sarò franco: sembra che questa norma sia stata scritta da persone immerse nel mondo analogico di venti o di trenta e più anni fa. Occorre dirselo, le notizie circolano indipendentemente dalla nostra volontà. Perfino chi si trova a disagio nella dimensione digitale della nostra vita, perfino chi si autodefinisce un dinosauro digitale sa che al posto del passaparola oggi c’è il passaFacebook, il passaTwitter, il passaWhatsapp, le app che autodistruggono i messaggi appena letti. Le notizie circolano, si ingigantiscono, si alterano, vengono distorte, a volte intenzionalmente  e a volte inconsapevolmente. Contrariamente a quello che comunemente pensiamo, l’ecosistema dell’informazione digitale è il dominio del perpetuo, dell’ubiquo, dell’infinita possibilità di replica e variazione, mentre l’informazione cartacea è davvero il regno dell’effimero e vive lo spazio che va dall’alba al tramonto.

La vera gogna mediatica è proprio nell’ecosistema dell’informazione digitale che può sprigionare i suoi effetti più devastanti, anche se il Parlamento, con il dl 188 sembra essersi distratto e riavvolto il calendario di una manciata di lustri, se non di decenni. La gogna mediatica, quella vera, quella che non si argina con le smentite o le rettifiche (anzi ne trae alimento) è quella che si origina e si propaga nel digitale quando non c’è l’apporto e l’argine del giornalismo professionale. Non svelo niente di nuovo se ricordo che il percorso informativo che comunemente tutti noi adottiamo inizia dai social o dalle applicazioni di messaggistica, scambio e condivisione e poi si rivolge, quasi subito, a fonti certificate che diano contesto, completezza e verifica alle informazioni assunte tramite i canali social. Assicurando nel giro di poche decine di minuti la diffusione di notizie certificate, il cittadino trasformato inopinatamente in pedofilo, truffatore, assassino, violentatore riesce a riacquistare la propria fisionomia e si sgonfia la gogna sociale, quella che lo costringe a chiudersi in casa e non rispondere al campanello o al telefono. Ma se la famigerata informazione mainstream viene costretta a tacere, chi arginerà la marea?

E l’Ordine? E l’Ordine dei giornalisti cosa fa per difendere la presunzione di innocenza? Quello che la legge gli consente di fare, ossia di avviare un procedimento disciplinare, attraverso i Ctd, che può articolarsi in 5 gradi di giudizio. Un intervento non solo a posteriori, ma straordinariamente tardivo. Per questo il Parlamento dovrebbe creare un Giurì d’onore in seno all’Ordine che consenta un intervento immediato nei confronti degli errori commessi da chi svolge il giornalismo a livello professionale. E al Parlamento chiediamo una norma chiara che permetta di rendere pubbliche le sanzioni disciplinari gravi commesse dei nostri iscritti. Altrimenti è troppo facile chiedere: e voi cosa fate per arginare questi fenomeni? Facciamo quello che ci permettete di fare, è la risposta.

Due postille. Mi si consentano due rapidissime postille che consegno alla vostra riflessione. Da questo quadro rischiano di emergere due elementi di squilibrio: i superpoteri, mi sia concessa la licenza, in capo ai Procuratori e il fatto che si affidi ai Procuratori della Repubblica di stabilire quali sono le notizie di pubblico interesse. Sapevamo che questo fosse uno delle funzioni basilari del giornalismo. Cosa dovremmo fare? Chiedere a tutti i Procuratori della Repubblica di iscriversi al nostro Ordine?    locandina_6.6.2022

 

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