Andrea Leone è morto a Milano venerdì 18 febbraio dove era ricoverato in ospedale per le conseguenze del Covid. Giornalista arguto e preparato, intelligente e autonomo, sempre pronto al confronto e al dialogo è stato un collega sincero che mancherà a molti. Nato a Pescara, 75 anni fa, da sempre viveva a Milano, dove ha lavorato per Capital, La Stampa, Ansa, Italia Oggi, e per il gruppo Mondadori. Presidente della Casagit dal 2001 al 2009, Leone è stato consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti e consigliere nazionale della FNSI. È stato sposato con l’ex segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, dalla quale ha avuto una figlia, Alice. Lascia anche un altro figlio, Andrea, figlio della prima moglie Paola Maghini che Andrea aveva adottato e della quale era rimasto vedovo poco dopo il matrimonio. Andrea aveva iniziato la sua carriera svolgendo il praticantato nel settimanale economico Successo e proseguito a Capital e nella redazione milanese della Stampa di Torino. Sempre a Milano era quindi entrato alla redazione Ansa nel 1978, dove era rimasto fino al 1986 per entrare a far parte, come caposervizio, di Italia Oggi, diretto da Marco Borsa. Successivamente era entrato in Mondadori, dove aveva lavorato a Espansione e ad Auto Oggi.
Dal 1996 al 2001 aveva fatto parte del Cdr Mondadori e dal 1997 al 2001 era stato nominato vicepresidente della Casagit, per poi ricoprirne il ruolo di presidente dal 2001 al 2009 Successivamente sempre con la corrente Nuova Informazione, era stato consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti e consigliere della Federazione nazionale della stampa. Le più sentite condoglianze da parte del Presidente Carlo Bartoli e di tutti i consiglieri del CNOG ai figli e alla famiglia
Oreste Pivetta consigliere del CNOG e amico di Andrea Leone con cui ha condiviso un lungo percorso, lo ricorda così:
“Andrea Leone se ne è andato. La notizia l’avrete letta. Morto per colpa del covid e dei malanni che si portava appresso. All’ospedale era arrivato una settimana fa. Non molti giorni prima ancora se ne andava per mostre, incontrava gli amici, chiacchierava, discuteva di politica. Discuteva di politica con quella passione che è stata di una generazione e che non lo ha mai abbandonato, fosse la “grande” politica, fosse la “nostra” politica, tra sindacato e ordine, tra contratti e riforme, tra correnti e conflitti. Con un dono prezioso che è difficile riassumere in una parola: pacatezza, equilibrio, rigore. Si potrebbe dire: leggerezza. Leggerezza che non significa superficialità, ma rinuncia a qualsiasi grado di faziosità, lungimiranza, sensibilità di fronte alle ragioni degli altri, tolleranza, ironia (e autoironia).
Aveva 75 anni, era nato a Pescara, era sempre vissuto a Milano, aveva lavorato a Capital, alla Stampa, all’Ansa, a Italia Oggi, dal primo giorno, tra gli scatoloni e i disservizi propri di ogni inizio, con impareggiabile calma, come lo ricorda chi era con lui in quei momenti. Da Italia Oggi era passato alla Mondadori ed era stato eletto nel comitato di redazione. Intanto erano venuti i tempi del sindacato, della Federazione, della Casagit (alla presidenza per otto anni), infine dell’Ordine. Il consiglio nazionale aveva rappresentato il suo ultimo appuntamento politico.
Si era poco alla volta distaccato da quell’impegno, forse per stanchezza dopo tanti anni di attività, forse per ovvi “limiti d’età” (sperava così di lasciar spazio ai giovani), anche per qualche motivo di critica nei confronti della sua “componente” storica, che era stata Autonomia e Solidarietà, poi Rinnovamento, infine era diventata Nuova Informazione. Motivi di critica, “ma – disse lui – non voleva far polemiche con gli amici”. Andrea sentiva forte il valore dell’amicizia, il senso della condivisione: anche per noi giornalisti c’erano sempre la necessità e l’occasione di una battaglia solidale, insieme con i “compagni”, come quelli della nostra generazione avevano imparato a definirsi. So per certo che non ci aveva mai persi di vista.
Lo ricordo all’epoca di una campagna elettorale per il rinnovo dei consigli dell’Ordine. Ci si trovava in casa di qualcuno o ai tavoli di un bar (voleva pagare sempre lui e questo mi imbarazzava assai). I soliti colleghi, una pattuglia. Sempre elegante, sempre gentile, sorridente. Non rinunciava al sigaro, mezzo spento. Raccontava di una sua vacanza in terre lontane, del mare, della barca a vela. Poi si cominciava a discutere di riforme con una incrollabile fiducia nei programmi. A quel punto si doveva inevitabilmente toccare l’argomento delle liste e delle alleanze, inevitabile in una realtà come quella di Milano: tanti iscritti, tanti voti, tante ambizioni. Era coerente con le sue e nostre idee, ma aveva il pregio di una cultura politica che insegnava la strada della mediazione. Molto ingenuo come ero, non volevo sentir parlare di componenti, non accettavo che dalle nostre parte i giornalisti si dividessero in otto nove gruppi ostili, predicavo sempre l’unità, capivo poco. Lo ascoltavo con grande rispetto, sapevo della sua lunga militanza, ammiravo il suo modo di argomentare, mi ha insegnato molto.”