Sollecitazione alle istituzioni europee per il varo di MFA e anti-SLAPP prima delle elezioni di primavera
Promossa da OBC con CCI, HBS, Cnog, Fnsi, nell’ambito del progetto Media Freedom Rapid Response. Il contributo di Gianluca Amadori del Comitato Esecutivo dell’Ordine.
Lo spazio della democrazia in Europa in relazione alla libertà di stampa e di espressione, è stato questo il tema su cui si è sviluppata la Conferenza internazionale promossa dall’Osservatorio Balcani Caucaso (OBC), in collaborazione con il Centro per la Cooperazione Internazionale, l’Istituto Heinrich Böll Stiftung Parigi, nell’ambito del progetto europeo Media Freedom Rapid Response. La Conferenza, svoltasi a Roma il 17 ottobre presso la Stampa Estera, ha visto come co-organizzatori il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa. Focus del confronto è stato la situazione nell’Europa sud-est, con particolare attenzione all’Italia e ai Balcani.
La discussione ha visto importanti riflessioni e analisi sul tema della libertà di stampa che, in Europa, è costantemente sottoposta a pressioni, in contesti di interferenze politiche, attacchi fisici e verbali e intimidazioni legali che, in misura diversa, colpiscono giornalisti e professionisti del settore dei media, tanto nei paesi membri dell’UE quanto in quelli candidati all’adesione.
La prima sessione del dibattito è stata soprattutto di testimonianze, in particolare dall’area dei Balcani con attenzione su Serbia, Montenegro e Kosovo per discutere della situazione in Grecia e in Italia. Si è poi passati all’approfondimento delle normative europee e delle possibili proposte da avanzare per contenere sia il fenomeno delle aggressioni verso i giornalisti, sia quelle delle azioni giudiziarie intimidatorie, le cosiddette SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Partecipation).
E’ stata affrontata, nello specifico, la proposta di regolamento Media Freedom Act, votato l’8 ottobre dal Parlamento Europeo ed attualmente oggetto del “trilogo” conclusivo, ossia la mediazione finale che impegna la Commissione, il Parlamento e il Consiglio europeo. Altro provvedimento oggetto di dibattito è stata la proposta di direttiva Anti-SLAPP, anche questa in fase avanzata nell’iter di approvazione.
Su entrambi i provvedimenti l’orientamento generale dei vari interventi è stato quello di un apprezzamento dei testi che individuano una cornice chiara per quanto riguarda i principi cardini della libertà di stampa e di espressione, nonché la necessità di tutela dei giornalisti, pur in presenza di alcune criticità come, ad esempio, la possibilità – prevista dal MFA – di utilizzare spyware contro i giornalisti per esigenze di “sicurezza nazionale”.
In ogni caso vi è stata una concordanza generale nel sollecitare le istituzioni europee a varare sia il regolamento Media Freedom Act sia la Direttiva Anti-SLAPP prima delle prossime elezioni europee previste per la primavera del 2024.
La Conferenza è stata preceduta, lunedì 16 ottobre, da un incontro pubblico promosso sul tema della sicurezza dei giornalisti e sulle querele temerarie, promosso da CASE italia (Coalition Against SLAPP in Europe) organizzato da Articolo-21.
Il contributo alla Conferenza di GIANLUCA AMADORI componente del Comitato Esecutivo del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti
La legislazione europea può essere di supporto per affrontare le numerose problematiche inerenti la libertà di stampa in Italia. Da poco il Parlamento Europeo ha votato il Media Freedom Act, un provvedimento che riteniamo complessivamente positivo anche se con alcuni aspetti che andrebbero rafforzati. C’è invece il rischio che la versione definitiva che uscirà dal confronto Parlamento – Commissione – Consiglio possa essere peggiorata. Il primo pensiero va innanzitutto all’uso degli spyware contro i giornalisti.
Discorso analogo vale per la proposta di direttiva sulle SLAPP: i buoni principi sono molti, ma ancora troppa poca operatività e il rischio di un indebolimento del provvedimento.
In Italia il problema della legge sulla diffamazione è serio, ma sul codice penale le norme europee non intervengono, così come – da quanto risulta – l’intervento normativo sulle SLAPP civili (risarcimenti danni) sembra limitato solo alle cause transnazionali. Bene l’affermazione di punti di riferimento e l’invito agli Stati ad agire a tutela dei giornalisti: la vera questione resta come trasformare gli inviti in norme vincolanti. E su questo fronte ancora non ci siamo.
Un altro tema, non affrontato dai provvedimenti in oggetto, dovrebbe essere messo al più presto all’ordine del giorno della discussione pubblica: quello relativo alla dignitosa retribuzione dei giornalisti. In Italia lo sfruttamento dei professionisti dell’informazione ha raggiunto livelli vergognosi, nel silenzio totale: 5 euro per un articolo, che possono diventare anche 2 se destinato ad un sito. Come si può discutere di libertà dell’informazione, di indipendenza dei giornalisti di fronte a compensi di questo tipo?
Ogni norma per difendere il diritto ad un equo compenso nel settore giornalistico è abortita per colpa dell’opposizione degli editori: per questo serve una mobilitazione, che dovrebbe coinvolgere tutta la società civile. Ne va del diritto dei cittadini ad essere informati.
Tornando all’European Media Freedom Act, aggiungo qualche riflessione:
TRASPARENZA
Di rilievo l’articolo 6 che impone ai fornitori di servizi di media l’obbligo di rendere palesi “il nome o i nomi del proprietario o dei proprietari diretti o indiretti con partecipazioni azionarie che consentono loro di esercitare un’influenza sulle attività e sul processo decisionale strategico”. L’articolo 24 introduce sistemi di trasparenza che potrebbero migliorare in modo considerevole l’attuale sistema di pubblicità statale (state advertising) in Italia. Gli unici dati oggi resi pubblici dalle autorità riguardano i contributi per l’editoria, erogati sulla base di regole definite e la redazione di apposite graduatorie. Nulla si sa, invece, in merito agli ingenti importi relativi a campagne pubblicitarie o informative, né in merito ai criteri in base ai quali le risorse di enti e società pubbliche vengono in un determinato servizio media per finanziare tali campagne. E’ un peccato che l’EMFA fissi il limite di un milione di abitanti per far scattare l’obbligo di comunicazione a carico delle amministrazioni locali, lasciando libere le altre di continuare con una gestione priva di trasparenza.
INTERCETTAZIONI
Attualmente in Italia non vige alcun divieto di intercettare i giornalisti, né di perquisirli o di sequestrare loro cellulari e agende. L’articolo 4 dell’EMFA costituisce dunque una novità importante per la salvaguardia del lavoro giornalistico e, con particolare riferimento alla tutela delle fonti giornalistiche, anche se consente l’utilizzo di spyware nel caso di indagini per reati di estrema gravità
Da anni il Italia è in corso un dibattito sull’utilizzo (o meglio sulla limitazione nell’utilizzo) delle intercettazioni nelle indagini penali, ma mai è stato affrontata la questione della garanzia della libertà di stampa: la politica italiana,è evidente, sembra più interessata a limitare il ricorso alle intercettazioni per ridurre il numero di possibili casi di corruzione e reati simili. E soprattutto per evitare che i contenuti dei colloqui intercettati finiscano sui giornali: in particolare quelli che potrebbero risultare scomodo a qualche potente di turno. In questa direzione sembrano destinate a dirigersi anche le ultime norme volute dal governo, mentre in Parlamento è ripresa la discussione per riformare la legge sulla diffamazione, aumentando in maniera esorbitante le pene pecuniarie: da 10mila a 50mila euro, oltre al risarcimento danni.
SERVIZIO PUBBLICO
Da anni in Italia è in uso il sistema del cosiddetto “spoiling system” nelle aziende del servizio pubblico informativo. Manager e vertici giornalistici vengono puntualmente cambiati non appena si insedia un nuovo governo, come se l’informazione dovesse essere patrimonio di chi gestisce il potere (con la necessità di piazzare al vertice persone di fiducia, o peggio agli ordini dei politici).
Se lo “spoiling system” può valere per un ministero o per un’azienda di Stato, sicuramente non vale per i media del servizio pubblico, la cui finalità non è quella di compiacere il governante di turno, ma di informare i cittadini nel modo più completo e autonomo possibile, nell’esercizio di un diritto costituzionalmente riconosciuto. Eppure nessuno protesta per quanto accade da sempre, ad ogni cambio di governo, di ogni colore. Le garanzie introdotte dall’articolo 5 dell’EMFA potrebbero contribuire ad aumentare l’indipendenza dei giornalisti che lavorano per il servizio pubblico.
Altre criticità che è doveroso segnalare in un dibattito sulla libertà di stampa, riguardano i crescenti ostacoli frapposti all’esercizio dell’attività giornalistica da alcune recenti normative nazionali.
ACCESSO ALLE FONTI E AGLI ATTI
In Italia è sempre più difficile avere un accesso diretto. Quasi sempre l’accesso è mediato attraverso uffici stampa, comunicati e conferenze stampa nelle quali vi è scarsa possibilità di rivolgere domande e raramente viene fornita la documentazione. Ai giornalisti viene difficilmente concesso l’accesso nelle sedi degli enti pubblici (ministeri, comuni, regioni, questure) se non per accedere a conferenze stampa.
Esiste una normativa sull’accesso agli atti, molto spesso disattesa: il rifiuto nel fornire dati di interesse pubblico viene motivato appellandosi in maniera impropria alla legge sulla privacy, anche quando i dati richiesti riguardano enti e soggetti pubblici nonché temi di rilevante interesse.
PRESUNZIONE D’INNOCENZA E DIRITTO ALL’OBLIO
Preoccupazione suscita, inoltre, l’entrata in vigore e l’impropria applicazione in Italia di due norme con cui sono state recepite direttive europee in modo esorbitante. La recente normativa sulla presunzione di innocenza (D.Lgs n. 188/2021) ha introdotto limitazioni ingiustificate e viene applicata in modo ingiustificatamente rigido da molte Procure e organi di polizia, in difformità con quanto previsto dalla europea sulla presunzione d’innocenza, e ancor di più rispetto alla giurisprudenza costante della Cedu in materia di libertà di stampa.
I giornalisti non contestano il diritto costituzionale alla presunzione d’innocenza, ma denunciano le crescenti criticità nell’accesso alle fonti relative a notizie di carattere giudiziario (operazioni di polizia, indagini, e più banalmente eventi di cronaca come gli incidenti stradali). I comunicati stampa sono quasi sempre talmente vaghi da non consentire nessun tipo di verifica sulle notizie diffuse; i nomi non vengono più forniti, seppure la normativa europea non lo vieti, in quanto impone semplicemente di non indicare come colpevole una persona prima della condanna, specificando quale sia la fase processuali.
Preoccupazione nel mondo dell’informazione viene suscitata anche dalla più recente normativa relativa al diritto all’oblio (Legge n. 134/2021, entrata in vigore il 19/10/2021). Il diritto all’oblio, ovvero il diritto del cittadino di non vedersi esposto per sempre sui media, è regolato dall’articolo 17 del GDPR – Regolamento generale sulla protezione dei dati (UE/2016/679), e da anni fa parte del bagaglio deontologico della professione (art 3 testo unico dei doveri del giornalista). L’importante principio di civiltà e tutela della dignità delle persone è dunque patrimonio consolidato per i giornalisti che non lo mettono di certo in discussione, e anzi lo applicano da anni, rispondendo alle sempre più numerose istanze presentate dai cittadini.
Le preoccupazioni riguardano l’introduzione di un inaccettabile automatismo per ottenere la deindicizzazione (e addirittura per impedire l’indicizzazione) di notizie riguardanti persone prosciolte o assolte, e i soggetti la cui posizione sia stata archiviata a conclusione di un procedimento giudiziario. La legge prevede che, su richiesta dell’interessato, sia la cancelleria del tribunale (non il giudice) ad apporre in calce alla sentenza una postilla in base alla quale ottenere la deindicizzazione.
Quanto alla preclusione all’indicizzazione, finalizzata ad impedire l’uscita di notizie mai apparse fino a quel momento, ha poco ha a che fare con il diritto all’oblio, che riguarda ovviamente episodi di cui si è avuta notizia, non potendo essere coperto da oblio ciò che è sempre stato sconosciuto. La finalità della norma appare evidente: limitare il più possibile l’informazione: per garantire la dignità delle persone, sarebbe stato più corretto imporre un obbligo di aggiornamento delle notizie, in modo da offrire ai cittadini un quadro corretto e completo dei fatti giudiziari. Fermo restando il diritto all’oblio per i fatti meno rilevanti.
Il Contributo di Amadori scaricabile:
AMADORI contributo Conferenza 17ott2023