Autore: Giancarlo Tartaglia

Editore: Il Mulino (2020), pag. 619, Euro 42,00

Fu grazie a un inciso dello Statuto Albertino, il cui articolo 28 recitava: “La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi” che il fascismo riuscì a sopprimere la libertà di stampa e a imporre la dittatura. Per tutti i decenni successivi all’unità nazionale il diritto alla libertà di stampa, così chiaramente affermato, aveva dovuto sempre lottare con quel “ma”; col fascismo dovette arrendersi. Successivamente, dalla fine del regime sino all’approvazione della Costituzione repubblicana, che l’ha sancita nell’articolo 21, la libertà di stampa ha vissuto una lunga fase di transizione ed è stata oggetto di aspre discussioni e conflitti politici. Nell’arco temporale che va dal 1943 al 1947 il mondo dell’informazione italiano ha subito una profonda trasformazione: epurazione dei giornalisti e dei giornali, nascita di nuove testate, riorganizzazione sindacale, regolamentazione della professione. In questo libro si ripercorrono le vicende che porteranno alla definizione della libertà di stampa e di quelle norme sul sistema dell’informazione che hanno regolato e regolano la vita democratica della nostra Repubblica dalla sua nascita a oggi.

Questo lavoro di Tartaglia è il tentativo di ricostruire in dettaglio gli avvenimenti, le polemiche, i problemi inerenti alla rinascita della libertà di stampa, che hanno caratterizzato il triennio della transizione dello Stato sabaudo-fascista al nuovo Stato democratico-repubblicano.

Erich Hobsbawn, è ricordato nell’Introduzione, sosteneva che accanto alla storia del passato, lontano di parecchie generazioni da noi, cioè del passato come “terra straniera”, vi è anche una storia di quella che chiamava “zona crepuscolare”, ovvero la storia di una epoca non distante dalla nostra, di cui conserviamo memoria per averne fatto parte, anche se nel ricordo dei nostri padri. Questa storia della “zona crepuscolare” è ancora parte di noi, “ma non più interamente alla nostra portata”. Della “zona crepuscolare” della nostra storia nazionale, è poi sottolineato, fanno indubbiamente parte gli anni che vanno appunto dalla caduta del Fascismo alla nascita della Repubblica.

Anni lontani, ma storicamente recenti. Interpreti non secondari di questa fase di transizione e di questo processo di cambiamento della società italiana sono stati i giornalisti, che del regime morente erano stati lo strumento fondamentale e indispensabile per creare, consolidare e assicurare nel tempo quel consenso popolare, che aveva fatto del Fascismo un regime di massa.

I numerosi problemi che nascevano dalla riconquistata libertà e che erano al centro della costruzione di un nuovo Stato, videro in quegli anni i giornalisti come interpreti principali, sia individualmente, sia come categoria. La discussione politica, il confronto sulle posizioni, si manifestava sui giornali e, di conseguenza, i giornalisti ne erano gli artefici, ancorché fossero sostenitori di posizioni contrapposte. La Federazione della Stampa, rinata il 26 luglio 1943, riuscì a rappresentare, in quell’arco di tempo, gli interessi collettivi della categoria e a porsi come interlocutrice del potere politico e governativo.

Alla fine di questo documentato e approfondito studio, centrale per la storia del giornalismo italiano, dopo la caduta del Fascismo, Tartaglia ricorda che il 22 dicembre 1947 l’Assemblea costituente approvava il testo definitivo della Costituzione che il Presidente della Repubblica avrebbe promulgato il 27 dicembre. Con il primo gennaio 1948, l’art.21, archiviato definitivamente l’editto albertino sulla stampa, diveniva la norma fondamentale di riferimento per l’esercizio della libertà di stampa nello Stato repubblicano. Due giorni prima, in sede di discussione e approvazione delle norme transitorie, la Costituente aveva approvato la XVII norma transitoria che affidava alla stessa Assemblea l’obbligo di deliberare, entro il 31 gennaio dell’anno successivo, sugli statuti regionali, sulla legge per l’elezione del Senato e “sulla legge per la stampa”, considerata “come una legge complementare delle leggi elettorali” e come facente parte “del nostro sistema costituzionale”. Il testo del provvedimento, emendato dalla sottocommissione, sarebbe arrivato in aula all’inizio di dicembre e sarebbe stato discusso e approvato entro la prima metà di gennaio. Era la Legge 8 febbraio 1948, n.47, che è – tutt’ora – la legge fondamentale che regola la stampa in Italia.

Il giorno stesso dell’approvazione della nuova Legge, il 14 gennaio 1948, in assenza di qualsiasi norma sull’Albo professionale e nel timore che dovesse considerarsi ormai compromessa la partita del suo riconoscimento, la Federazione della Stampa avrebbe chiarito con un comunicato che, stante l’assenza di disposizioni al riguardo, doveva ritenersi ancora in vita e in pieno vigore il decreto del 1928 che aveva istituito l’Albo dei giornalisti.

Nelle righe conclusive del libro, Tartaglia scrive: “Il cammino per arrivare alla definizione della nuova legge professionale si sarebbe, comunque, rivelato ancora lungo e tormentato e la Legge avrebbe visto la luce soltanto dopo altri tre lustri di discussioni e di battaglie”.

Giancarlo Tartaglia, studioso di storia del giornalismo, storico Direttore della FNSI, è  Segretario generale della Fondazione sul giornalismo “Paolo Murialdi”. Tra le sue pubblicazioni: “La Voce Repubblicana, un giornale per la libertà e la democrazia” (2012), “Il giornale è il mio amore. Alberto Bergamini inventore del giornalismo moderno” (2018).

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